La distruzione del ghetto di Varsavia in una foto, diventata poi simbolo dell'intero Olocausto. Un bambino. Le braccia alzate. Lo sguardo smarrito.
Lo scatto compare all'interno del rapporto - dal titolo Il quartiere ebraico di Varsavia non esiste più - che il generale delle SS Jurgen Stroop inviò a Himmler e Krüger, suoi diretti superiori, per testimoniare la distruzione del ghetto, dove vennero deportati o uccisi 56.065 ebrei.
Lo storico Dan Porat prende le mosse da quest'immagine e dalle altre fotografie allegate al rapporto per raccontare quelle tragiche quattro settimane di distruzione.
Porat racconta le vicende di Stroop, di Konrad - il fotografo incaricato che documentò con perizia gli incendi appiccati, i cadaveri, le uccisioni e le umiliazioni degli ebrei e, per questo, alla fine della guerra, fu condannato a morte da un tribunale polacco - e di Blösche - membro della Gestapo che compare dietro al bambino nella fotografia - ancor prima dell'inizio della guerra. Un impiegato, un magazziniere e un contadino che sono entrati a far parte della macchina del male creata da Hitler.
Ma lo scrittore non si sofferma solo sulle figure negative della vicenda e racconta anche la storia di Rivkah Trapkowits, una ragazza della resistenza del ghetto che è riuscita a fuggire alla deportazione, e di Tsvi Nussbaum, sopravvissuto al campo di Bergen-Belsen e, molto probabilmente, il protagonista della famosa fotografia.