Non solo un Premio Nobel (per la letteratura, nel 1991). La scrittrice sudafricana Nadine Gordimer, scomparsa a Johannesburg all’età di 90 anni, era per il suo Paese e per il mondo anche un simbolo della lotta contro l’apartheid.
Di famiglia ebraica, Nadine si era iscritta all’African National Congress quando il partito era ancora fuori legge, e aveva conosciuto Nelson Mandela nel 1964 durante il processo di Rivonia, nel quale Madiba venne condannato a morte e poi trasferito nel carcere di Robben Island. I volti degli imputati, ricorderà Nadine, “erano l’immagine del coraggio e della determinazione. La pena di morte era ancora in vigore e sapevano di rischiarla, ma credevano alla loro causa come a una religione”.
Poi le prese di posizione, i gesti di protesta, le manifestazioni silenziose e le denunce all’estero delle discriminazioni del regime segregazionista. Nei suoi libri raccontava di amori tra persone di razze diverse, di famiglie borghesi divise dalle contraddizioni, e per questo fu spesso vittima della censura. Il suo secondo romanzo, Un mondo di stranieri (1958), fu bandito per oltre un decennio.
Proprio a lei Madiba ha affidato la revisione del suo celebre discorso “Sono pronto a morire”, del 20 aprile 1964, e sempre a lei ha richiesto, una volta scarcerato, di far parte della delegazione che lo ha accompagnato a Oslo per ritirare il Premio Nobel per la pace.
“Amava profondamente il Sudafrica - si legge nel comunicato stampa diffuso dalla famiglia - la sua cultura, il suo popolo e la sua lotta permanente per la democrazia. I suoi giorni più fieri sono non solo quelli del premio Nobel, ma anche quelli della sua testimonianza al Processo Delmas nel 1986, in cui contribuì a salvare le vite di ventidue membri dell’ANC accusati di tradimento”.