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11 rinvii a giudizio per il genocidio saharawi

la disputa tra Marocco e popolazioni autoctone

Il giudice dell’Audiencia Nacional Pablo Ruz ha rinviato a giudizio 11 ufficiali marocchini per il genocidio nel Sahara Occidentale tra il 1976 e il 1991. Sette di loro sono stati trattenuti in custodia dalla Corte. Ruz ha stabilito che, dopo l’abbandono da parte della Spagna del territorio, le forze militari e di polizia del Marocco hanno condotto “un attacco sistematico contro la popolazione saharawi, con il fine di distruggere, in tutto o in parte, la popolazione autoctona, e appropriarsi del territorio” dell’antica colonia spagnola. Tale definizione del crimine permette quindi di qualificarlo come genocidio, ai sensi della Convenzione del 1948.

Ruz ha portato a termine l’indagine avviata nel 2007 dal suo predecessore, il giudice Baltasar Garzon - noto per aver condotto le indagini contro il dittatore cileno Augusto Pinochet - raccogliendo l’appello delle Associazioni dei Familiari dei Prigionieri e degli Scomparsi Saharawi. 
Nella sua risoluzione finale, Ruz descrive “bombardamenti contro accampamenti della popolazione civile, spostamenti forzati, uccisioni, detenzioni e sparizioni di persone di origine saharawi”.

Il fatto che le vittime avessero passaporto spagnolo - in quanto nati in un territorio colonia di Madrid dal 1885 - ha evitato che il procedimento venisse archiviato a causa della riforma della giurisdizione universale fatta approvare dal PP in Spagna nel marzo 2014.
L’Audiencia Nacional ha così potuto proseguire le indagini su un territorio diverso da quello spagnolo, ma con collegamenti diretti con Madrid, scoprendo anche diverse fosse comuni.

La “questione saharawi” ha inizio nel 1975, quando il Marocco approfittò della fine della Spagna franchista per cercare di impadronirsi del Sahara Occidentale, zona desertica ma ricca di miniere di fosfati. L’area era tuttavia abitata dalle popolazioni autoctone, inizialmente sopraffatte dall’ondata di coloni giunti nel territorio dal Marocco nel 1976, in quella che venne chiamata “Marcia Verde”. I saharawi tuttavia, insieme al Fronte Polisario (Fronte di Liberazione Popolare di Sagui a e El Hamra e del Rio de Oro, dal nome dei due distretti coloniali spagnoli in cui era diviso il Sahara Occidentale), dichiararono l’indipendenza della Repubblica Democratica Araba Saharawi, riconosciuta da decine di nazioni ma non da UE e Stati Uniti.

Proprio per rispondere alla guerriglia con il Fronte Polisario - in una situazione di stallo negli anni ’80 - il Marocco iniziò a costruire nel 1981 il cosiddetto Berm, una barriera di 2500 chilometri - la più lunga al mondo dopo la Muraglia Cinese - formata da otto muri difensivi, costituiti da bunker, fossati, pietre, sabbia, filo spinato e dal più lungo campo minato continuo del mondo, con circa 6mila mine antiuomo. Nonostante il conflitto sia ufficialmente terminato nel 1991, da allora ben poco è cambiato: il Marocco considere le terre del Sahara Occidentale come "province meridionali", mentre i saharawi - guidati dalle donne - rivendicano il loro diritto all'autodeterminazione, riconosciuto anche dalla Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite.

10 aprile 2015

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