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Abbas dichiara di voler sospendere Oslo

minaccia retorica o pericolo reale?

Le Nazioni Unite spesso, anziché un luogo dove prendere decisioni, diventano una tribuna per i leader dei Paesi in guerra. Così, il 30 settembre, quando Abu Mazen ha parlato al Palazzo di Vetro dichiarando che i palestinesi non si sentono più vincolati al rispetto degli accordi di Oslo, la reazione è stata prudente. 

Benjamin Netanyahu, secondo il New York Times, non avrebbe neanche commentato, delegando al direttore del Ministero degli Esteri israeliano Dore Gold il compito di replicare laconicamente: "Israele non sospende i patti sottoscritti". 

Le dichiarazioni di Abbas seguono solo di poche ore l'aggiunta del vessillo palestinese alle bandiere che svettano sul quartiere generale dell'ONU. Impossibile non chiedersi se sia questo un buon inizio per un percorso dei palestinesi verso una sovranità più piena. 

Le vicende più recenti del più lungo conflitto con cui si è confrontata l'ONU nei suoi 70 anni di storia sono drammatiche: Abbas accusa Israele di violare sistematicamente i trattati di pace del 1967; il Monte del Tempio di Gerusalemme, al-Aqsa per gli arabi, è teatro di una vera e propria guerriglia urbana che, tristemente, esprime una rivalità religiosa; l'Autorità Palestinese continua a minacciare Israele di portarlo davanti alla Corte Penale Internazionale grazie alle sue nuove leve politiche in seno all'ONU; Gerusalemme si divide sull'ebraicità dello Stato, sulle norme sulla sicurezza quale il divieto di lanciare sassi e su numerose altre questioni. Permangono squilibri economici, sociali e relativi ai diritti umani e civili tra Israele e i Territori palestinesi. 

Gli accordi di Oslo sono considerati la pietra miliare del cosiddetto processo di pace, perché in essi per la prima volta era contenuto il reciproco riconoscimento tra Israele e Palestina. In particolare, i Territori palestinesi venivano divisi in tre aree: un'area A pienamente controllata da forze palestinesi, una B dove Israele si sarebbe occupato della sicurezza e i palestinesi dell'amministrazione civile, e una terza area (C) sotto controllo israeliano. 

I palestinesi lamenterebbero in particolare "continue incursioni israeliane nell'area A" sempre secondo il quotidiano newyorchese. È tuttavia vero che la minaccia di sospendere Oslo è molto frequente lungo tutta la complessa storia di questo conflitto e anche nelle dichiarazioni di oggi è stato osservato che il linguaggio di Abbas appariva "tormentato", frutto più di problemi interni ai palestinesi che della realtà oggettiva dei rapporti, pur estremamente tesi, con Israele. 

Ed è proprio da parte palestinese che si sollevano dubbi sulla forza di Abbas di imprimere una svolta verso una piena sovranità palestinese. Infatti i suoi appelli a "sventolare ovunque la bandiera palestinese, perché è il vessillo della nostra identità" sembrano più pensati per calmare il dissenso interno e salvaguardare una leadership debole e contestata che non per fondare uno Stato. 

Secondo la stessa Federica Mogherini, che mentre Abbas parlava si sedeva al tavolo con USA, ONU e Russia a nome dell'Unione Europea per negoziare il da farsi in Medio Oriente, "le parole di Abbas vanno considerate più come un che cosa accadrebbe se che non come una dichiarazione definitiva".   

1 ottobre 2015

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