È trascorso dalla fine degli arresti domiciliari per l'attivista birmana premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. La leader ha dichiarato che sono stati 365 giorni "significativi, dinamici e per certi versi incoraggianti", nei quali ha potuto tornare a fare politica, ed è passata subito all'azione: con i vertici del suo partito si candiderà alle prossime elezioni passando dal boicottaggio al sostegno delle aperture della giunta.
Questi progressi sono stati salutati da una telefonata di Barack Obama e l'invio del Segretario di Stato USA Hillary Rodham Clinton in missione diplomatica in Birmania. Obama in particolare ha dichiarato che è pronto ad aprire la strada a "una nuova relazione tra Stati Uniti e Birmania" se quest'ultima proseguirà nel cammino delle riforme.
Tuttavia, sottolinea la corrispondente della BBC dal Sudest asiatico Rachel Harvey, "prima di arrivare a questo bisogna che il regime affronti diversi punti, quali la sorte dei prigionieri politici ancora agli arresti, i conflitti armati che persistono in alcune aree del Paese, i diritti delle minoranze etniche della Birmania e la garanzia che venga applicato lo Stato di diritto".
L'organizzazione regionale Asean, correndo un rischio, ha offerto alla Birmania la presidenza delle sue riunioni per il 2014. Secondo l'ex ambasciatore britannico Derek Tonkin "sanno che è impossibile che la Birmania sottoscriva un legame irreversibile con l'Occidente e la sua democrazia, ma pensano che la Birmania stia andando nella giusta direzione e che questo sia il massimo che si può ottenere". Tuttavia secondo gli scettici il governo militare potrebbe ritrovarsi a fare marcia indietro per le pressioni dei falchi.