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Il Cairo dichiara guerra agli islamisti

dopo la morte dell'uomo chiave della repressione

Il Governo al-Sisi si affidava al Procuratore Hisham Barakat per stroncare gli islamisti con ogni mezzo. Nominato il 10 luglio 2013, il magistrato per prima cosa aveva congelato i fondi a 14 uomini della Fratellanza Musulmana. Certamente sono i leader di questo gruppo potente a odiare chi indaga sulle loro attività, ma potrebbero trovare consenso perché in Egitto anche semplici studenti universitari attratti dall'islam radicale magari temporaneamente sono spesso arrestati nel corso di grandi retate e torturati in prigione. Bisogna poi aggiungere il fatto che la crociata non è diretta solo contro i simpatizzanti dei Fratelli Musulmani, ma, fin dall'inizio della Primavera Araba, anche contro qualsiasi oppositore laico di al-Sisi.

Proprio il 30 giugno è uscito il rapporto di Amnesty Generation Jail, che concerne il fatto che un'intera generazione di egiziani entra ed esce di continuo dalle prigioni dello Stato. Ora che Barakat è stato ucciso da un'autobomba mentre compiva l'usuale tragitto per recarsi in ufficio, appare probabile che il regime intensifichi la repressione indiscriminata contro tutti i dissidenti, con arresti e carcerazioni preventive. Al-Sisi sta già affrontando i raid degli estremisti nel Sinai, dove i fondamentalisti hanno proclamato la loro alleanza con l'IS, sventolano bandiere nere e filmano le decapitazioni di coloro che sono considerati vicini al Cairo.

Il 31 giugno era l'anniversario delle proteste che due anni fa portarono alla caduta di Mohammed Morsi. Poiché altri magistrati stanno dichiarando in queste ore che "il terrorismo non ci fermerà", si pensa che gli atti di terrorismo possano aumentare. Infatti un video dei terroristi del 16 maggio, quando Morsi è stato condannato a morte per la prima volta, prendeva di mira espressamente i giudici, che soprattutto nel Sinai affrontano clan dediti a traffici di droga, armi ed esseri umani.   

Luglio è iniziato con l'annuncio di una nuova legge che abbrevia i termini delle condanne a morte e anche i media, secondo il giornale inglese The Guardian, sono allineati ad al-Sisi: infatti oltre agli arresti di giornalisti, si registrano molti casi di autocensura dei reporter, che per sfuggire alla repressione sono inclini a diminuire il numero dei manifestanti quando scrivono di un corteo, a riferire senza notazioni critiche quanto promana dagli uffici statali e fornendo resoconti rassicuranti sulle notizie politiche. 

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