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Il dovere della speranza in Israele

David Grossman e il "sogno di pace"

Dalle pagine di Repubblica, lo scrittore israeliano David Grossman richiama oggi al “dovere” della speranza.

In un momento delicato come quello attuale, dopo l'uccisione dei tre ragazzi israeliani e del giovane palestinese, Grossman ci parla di un Paese ostaggio della disperazione, di una visione pessimistica del mondo che ha sconfitto “quello che un tempo si sarebbe potuto definire ‘lo spirito israeliano’: quella scintilla, quella capacità di rinascere a dispetto di tutto”.

Secondo lo scrittore israeliano, infatti, è bastato un solo fallimento nel percorso di pace per far perdere al Paese, ai suoi leader e alla popolazione, il coraggio e la speranza. “È interessante notare - sostiene Grossman - che sebbene Israele abbia tentato la via della pace con i palestinesi soltanto una volta, nel 1993, è come se avesse deciso di rinunciare per sempre a perseguire questa possibilità dopo quel fallito tentativo. Anche qui entra in gioco la logica della disperazione. La strada della guerra, dell’occupazione, del terrorismo, dell’odio, l’abbiamo provata decine di volte senza stancarci né scoraggiarci. Come mai invece ci affrettiamo a respingere definitivamente quella pace dopo un solo fallimento?”.

Grossman esorta, a maggior ragione ora che la disperazione appare sempre più diffusa e risoluta, a continuare a sognare la pace, ad affidarsi a una speranza che, senza ignorare i pericoli, si rifiuti di vedere solo le difficoltà. Una speranza, insomma, in grado di aprirsi all’altro e di riscoprire l’umanità.

Ci sono i razzi lanciati dalla striscia di Gaza, le reazioni di Israele, le violenze e le parole di odio. Esistono però anche esempi concreti di questa speranza. La vediamo, come nota anche Antonio Ferrari sul Corriere della Sera, nella mano tesa tra i parenti di uno dei ragazzi ebrei uccisi e quelli del palestinese bruciato vivo per rappresaglia. “Non c’è differenza tra sangue e sangue” aveva dichiarato giorni fa la famiglia del giovane israeliano Naftali Yaakov Frenkel.

E mentre associazioni come Peace Now organizzano manifestazioni per esortare a porre fine alle violenze, i sindaci di 14 città ebraiche ed arabe si sono riuniti chiedendo di mantenere la calma condannando l’escalation di odio reciproco che sta attraversando il Paese. Chi dice no all’estremismo in favore di dialogo, tolleranza e coesistenza democratica sceglie di non abbandonarsi alla disperazione di cui parla Grossman, e non accetta con rassegnazione lo status quo, la sconfitta della propria umanità.

Intanto alla Conferenza per la Pace organizzata dal quotidiano Haaretz, Abu Mazen ricorda che “non può essere realizzata una pace giusta e duratura senza il rispetto dei diritti di ognuno, in entrambe le parti”, mentre Shimon Peres invita a concentrarsi sul futuro, per chiudere un conflitto che da troppi anni insanguina la regione.

Uscire quindi dalla disperazione e da un immobilismo che ha creato non solo violenza, ma anche una sorta di sospensione del giudizio morale da entrambe le parti, per riscoprire la speranza che, come sostiene Grossman, “se le fiamme del conflitto si affievoliranno, potrebbero ancora emergere, a poco a poco, i tratti sani ed equilibrati dei due popoli, sui quali comincerà ad agire il potere terapeutico della quotidianità, della saggezza della vita, del compromesso”.

9 luglio 2014

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