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Il prossimo genocidio mondiale

secondo Simon Adams

Foto Reuters

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Simon Adams, direttore esecutivo del Global Centre for the Responsibility to Protect, è intervenuto sulle pagine del New York Times citando la riflessione di Peter W. Galbright, ex ambascatore americano e testimone della pulizia etnica nella ex Jugoslavia. Galbright ha esposto una previsione agghiacciante, sostenendo che il prossimo genocidio del mondo potrebbe interessare gli alawiti in Siria.

Pochi mesi fa, parlare di possibili massacri di alawiti, che dominavano il governo di Bashar al-Assad in Siria, sembrava solo propaganda pro-regime. Ora è una possibilità reale.

Per più di un anno, il governo di Assad ha commesso crimini contro l’umanità in Siria. Mentre combatte per sopravvivere nelle strade di Aleppo e Damasco, il rischio di rappresaglie illimitate contro la setta alawita di Assad e le altre minoranze religiose cresce ogni giorno di più.

In seguito all’ascesa al potere del padre di Assad, Hafez, nel 1970, gli alawiti sono stati trasformati da una minoranza perseguitata alla forza di controllo all’interno dell’esercito e del governo. Con un sistema di benefici simile a quelli delle altre dittature, il vecchio Assad ha coinvolto le altre minoranze etniche e religiose nella sua orbita politica mentre le ribellioni dei membri della maggioranza sunnita, come quella di Hama nel 1982, venivano schiacciate senza pietà.

Quando la primavera araba ha raggiunto la Siria lo scorso anno, ha riportato in superficie ostilità che erano rimaste nascoste per decenni. Il movimento di protesta era dichiaratamente non settario, attirando i siriani di tutte le comunità. Ma agli occhi del governo, l’opposizione era semplicemente un fronte sunnita che cercava di deporre la famiglia Assad e porre fine al dominio alawita.

Le azioni del governo siriano hanno aggravato la divisione settaria. Mentre la violenta repressione delle proteste dava la precedenza alla distruzione dei villaggi controllati dall’opposizione, il governo è passato dall’individuazione mirata dei dissidenti all’imposizione di punizioni collettive a intere zone circostanti. Le aree sunnite sono state bombardate dall’artiglieria e dai carri armati, e la milizia shabiha pro-governativa, composta principalmente da alawiti, ha computo feroci massacri di uomini, donne e bambini. La maggior parte delle vittime erano civili sunniti.

Con l’intensificarsi della guerra civile, Assad sta cercando di esternalizzare sempre più il lavoro sporco. A Damasco, gruppi di drusi, cristiani e sciiti vengono armati dal governo. Mentre queste milizie vengono giustificate come “autodifesa della zona” e protezione dei siti religiosi, la shabiha è emersa in modo analogo prima di diventare la squadra che uccide per Assad. E trascinando cristiani, drusi, sciiti e alawiti nel conflitto civile sulla base di una esplicita base settaria, il governo siriano ha quasi sicuramente garantito che ci saranno rappresaglie contro queste comunità in caso Assad venisse deposto.

Anzi, quando le proteste sono degenerate in guerra civile, la composizione ideologica dell’opposizione è mutata. Lo slogan dell’Esercito Libero Siriano è rimasto, “siamo tutti un solo popolo di una sola nazione”. Ma in Siria quelli che cantano “cristiani a Beirut, alawiti alle loro tombe!” sono diventati qualcosa di più che un elemento marginale. Human Rights Watch e altri gruppi hanno documentato casi di ribelli uccisi dai soldati siriani e alawiti considerati come collaboratori del governo.

Un numero crescente di estremisti sunniti stanno combattendo non solo per liberare la Siria da Assad, ma anche per purificarla dal punto di vista religioso. Molti siriani cristiani di conseguenza ora temono che il loro destino rispecchi quello dei cristiani di Iraq, che sono stati espulsi dalla loro patria a causa della guerra e del terrorismo settario. La città di Homs ospitava un tempo 80.000 cristiani; oggi se ne contano meno di 400.

Tre veti di Russia e Cina hanno bloccato i tentativi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di ritenere il governo siriano responsabile dei propri crimini. Ma coloro che hanno optato per una guerra per procura in Siria e coloro che attualmente stanno finanziando i ribelli non possono evitare la responsabilità per quello che accadrà in futuro.

I governi che si sono pubblicamente impegnati ad aiutare a porre a termine la sofferenza siriana, Stati Uniti compresi, devono immediatamente fare due cose per cercare di prevenire una reazione violenta contro gli alawiti e le altre minoranze. Per prima cosa, devono imprimere nella mente della nuova opposizione siriana unita che il sostegno dipende dalla stretta aderenza al diritto internazionale umanitario. Ai gruppi armati che sostengono la frammentazione della Siria lungo linee settarie o regionali dovrebbero essere negati i finanziamenti; non dovrebbe esserci assolutamente alcun tipo di aiuto per i gruppi ribelli che puntano a rappresaglie contro gli alawiti o le altre minoranze e per chi commette crimini di guerra.

In secondo luogo, i governi dovrebbero intensificare i loro sforzi per ritenere gli autori di atrocità di massa responsabili davanti alla Corte Penale Internazionale, senza badare alle loro alleanze. Questo significa anche stanziare fondi per un monitoraggio ulteriore da parte delle Nazioni Unite sul confine siriano, in modo da raccogliere prove e testimonianze per le future indagini.

La Siria ha subito orrori indicibili durante la sua storia. Ma è un crocevia storico di culture, fedi e civiltà. La vera decisione da prendere in Siria oggi non è tra alawiti o sunniti, o tra Assad e Al Qaeda, ma tra un’azione che si basi sulla commissione di altri crimini contro l’umanità e una mirata a porre fine all’impunità per questi crimini una volta per tutte.


La Coalizione nazionale siriana nata dopo gli incontri di Doha, in Quatar, dovrà quindi scegliere quale cammino percorrere. Ahmed Moaz

al-Khatib, leader dell'opposizione siriana, e i paesi che hanno riconosciuto la nuova forza (non solo il "regista" dell'operazione Barack Obama, ma anche la Francia e i paesi del Golfo), avranno il compito di vigilare sull'eventuale commissione di crimini di guerra.

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