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L'anti-élite, i mondi post-fattuali di Trump e Rousseau

di Pankaj Mishra

In un articolo del 14 novembre 2016 sul New Yorker il filosofo Pankaj Mishra, autore di numerosi libri, tra cui una recente opera sulla rabbia che attraversa l'opinione pubblica particolarmente in Occidente, ripercorre alcune analogie tra l'elezione di Donald Trump e la lotta contro le élite di Jean-Jacques Rousseau
Di seguito vi proponiamo la traduzione dell'articolo.

“Amo le persone poco istruite,” aveva detto Donald Trump lo scorso febbraio, durante un discorso a Las Vegas. La frase era l'incipit di un mio articolo di agosto per il New Yorker sul filosofo dell'Illuminismo Jean-Jacques Rousseau. Adesso sappiamo che la gente poco istruita – o almeno, molti uomini bianchi senza diploma di scuola superiore – ricambiano Trump, quasi all'unanimità. La sorprendente rivoluzione politica che ha preso piede negli Stati Uniti ha mostrato al mondo un forte divario educativo tra città e campagna; Rousseau potrebbe aiutarci a risolvere almeno una parte del puzzle intellettuale che l'ascesa al potere di Trump ci ha presentato.

Già con la sua prima pubblicazione importante, nel 1751, anche Rousseau aveva difeso il popolo illetterato e le sue maniere sempliciotte. Significativamente, egli faceva ciò proprio mentre nasceva la prima élite colta e interconnessa del mondo – i filosofi dell’Illuminismo -, che domandavano di istituire un programma di progresso di ampia portata attraverso l’uso della scienza e della ragione e il commercio internazionale. La mossa più radicale di Rousseau fu quella di collocarsi contro il progetto che ora noi chiamiamo modernità; egli praticamente inventò la categoria del “popolo”, che identificava come la vittima delle decisioni e dei sistemi di valori calati dall’alto.

Ma prima di rimproverare noi stessi per la nostra lontananza da "coloro che sono rimasti indietro", dovremmo ricordare che anche molti uomini e donne bianchi e colti hanno votato per Trump (che è, non a caso, proprietario di un jet privato e di un grande attico a tre piani a Manhattan). Rousseau, che era nato povero ma morì relativamente ricco, in tutta la sua vita e carriera rese chiaro che il ressentiment può esplodere in ogni fascia di reddito; non viene nutrito solo dalle disuguaglianze materiali o dalla divisione in classi. La paura di perdere il proprio status e la propria identità motiva molte persone, spesso anche ad agire contro il proprio interesse.

La battaglia di Rousseau come la definiva lui stesso, in quanto outsider a Parigi, era contro un’élite metropolitana. Il suo avversario più acerrimo era Voltaire, figlio di un avvocato, che irrideva la religione, accoglieva la Borsa come l’incarnazione del razionalismo laico e, avendo partecipato lucrosamente al commercio internazionale, morì come uno dei più ricchi borghesi d’Europa. 

Rousseau accusava Voltaire, assieme ai suoi ricchi e supponenti parirango, di rivendicare un'immeritata superiorità morale; in contrasto con i suoi ideali, affermò il proprio concetto di volontà generalevolonté générale— nella quale gli individui alienati si ricostituiscono in un popolo sovrano, dotato di solide radici e fieramente patriottico. Mentre i filosofi dell’Illuminismo sostenevano la loro protettrice, l’Imperatrice Caterina di Russia, nelle sue crociate militari per portare la modernità in Polonia e Turchia, Rousseau tratteggiò le linee di massima per un nazionalismo civico difensivo che escludeva di proposito i cosmopoliti e gli stranieri. Trump, nel denunciare il libero commercio, nello stigmatizzare gli immigrati messicani e i musulmani, e nell’offrire un nuovo contratto sociale a una popolazione bianca sostenitrice de “l’America prima di tutto”, potrebbe essersi ispirato direttamente dal romanzo di Rousseau Emilio, o sull’educazione, nel quale scrisse: “Ogni patriota è severo con i forestieri. Essi non sono nulla ai suoi occhi”.

Il filosofo politico francese Pierre Rosanvallon ha sostenuto che la competizione tra un’élite iperrazionalista e sofisticata e un volontarismo rivoluzionario, spesso anarchico e violento, definisce tutta la storia contemporanea della Francia. Per molti versi, la nostra attuale crisi quasi universale è segnata da queste due patologie rivali. Tra i molti pari demagogici di Trump, Narendra Modi dell’India è un altro che è salito al potere sfogando risentimento contro la classe anglofona postcoloniale del suo Paese, la cosiddetta élite di Lutyiens, dal nome dell’architetto Edwin Lutyens, che progettò molti edifici a Nuova Dehli sotto la dominazione britannica. Uno degli obiettivi nel mirino della polemica di basso livello di Modi era il romanziere educato a Oxford ed ex funzionario delle Nazioni Unite Shashi Tharoor. “Che fidanzata!” disse una volta della moglie di Tharoor. “Avete mai visto una fidanzata da —quattro milioni di dollari—?” Modi, il più potente Primo Ministro indiano in settant’anni, ora è a capo di una purga a livello nazionale contro i liberali e i progressisti senza radici, ma in un’intervista televisiva di qualche settimana fa sembrava essere ancora ossessionato da un complotto dei seguaci di Lutyens. “Questi ‘custodi’ che si dedicano agli interessi di un gruppo selezionato non accetteranno mai nessuno che sia legato alle radici di questo Paese”, ha dichiarato.

Lo stesso Trump è una furiosa incarnazione di ciò che Rousseau chiamava “l’amor proprio”: il desiderio e bisogno di assicurarsi il riconoscimento altrui, di essere stimato dagli altri quanto ci si stima da sé. Tale vanità è un fardello particolarmente pesante da portare, per un plutocrate dal look sgargiante che deve muoversi in una Manhattan che è un monocolore di centrosinistra. Il titolo di un articolo del Times concernente una sua intervista del 2014 era eloquente: “Che cosa spinge Donald Trump? La paura di perdere il proprio status, mostra la nostra registrazione: il gusto per la lotta, l’ossessione per i media, la paura di essere dimenticato”. Un’analisi dell’osservatorio “Politico” dei tweet di Trump dal 2009 rivela un ricorso abnorme alle parole “vincitore” e “perdente”, per non parlare di “io” e “grande”. Finora, per molti anni, un amour propre apparentemente insaziabile ha alimentato gli attacchi di Trump alle élite liberali, un gruppo che evidentemente era reso ancora più intollerabile dall’inquilino nero della Casa Bianca, di cui si sospettavano origini straniere.

Ma ciò che ha salvato Trump da una tardiva carriera di autopromozione disperata su Twitter è stata una generale ondata di riflusso contro la tecnocrazia, di cui pochi si sono accorti in Occidente fino a quando la popolazione britannica non ha votato per uscire dall’Unione Europea, a giugno. “La gente in questo Paese ne ha abbastanza degli esperti”, ha dichiarato Michael Gove, un eminente Tory inglese fautore della Brexit, durante la campagna referendaria. Gove e i suoi colleghi hanno continuato a sollevare un fiotto di affermazioni palesemente mendaci, contribuendo, assieme a Trump, a costituire il reame piuttosto infido della “politica post-fattuale”. Come ha sottolineato Sebastian Mallaby, autore di una recente biografia dell’economista Americano Alan Greenspan, “Sia Gove che Trump hanno avvertito, correttamente, che gli esperti erano i primi candidati a una caduta”.

Per Rousseau, i “dogmatisti imperiosi” che prescrivevano il razionalismo a tutta l’umanità erano animati da interessi egoistici e antidemocratici. Perfino oggi, “la gente con progetti”, come lo studioso di Diritto David Kennedy chiama gli esperti della nostra epoca nel suo pionieristico libro A World of Struggle: How Power, Law, and Expertise Shape Global Political Economy, (Un mondo di lotta: come il potere, il diritto e gli esperti danno forma all'economia politica globale),  sono tutt’altro che arbitri e dispensatori di conoscenza imparziali. Piuttosto, sono cercatori di “ricchezza, status e opportunità”. Il libro di Kennedy esamina i metodi e gli assunti dei decision-maker politici, dei professionisti della politica, degli specialisti dello sviluppo economico, dei fautori degli interventi umanitari e degli avvocati internazionali e sostiene che il nostro mondo interconnesso – “terribilmente ingiusto, poco saggio a livello ambientale, dominato da un’élite di pochi economicamente e politicamente ovunque” – è diventato “impossibile da modificare o da cambiare” a causa del fatto che “il management tecnico è quasi invisibile e difficilissimo da contestare”.

Modi e Trump hanno zelantemente investito su un profondo odio verso questa gabbia della modernità apparentemente indistruttibile, che trasforma i fautori del libero commercio, gli internazionalisti progressisti e i tecnocrati in oggetti della paura e del disprezzo di massa. È anche vero che le previsioni rosee di queste persone – ad esempio che la Russia comunista abbraccerà il capitalismo liberista; che il cambio di regime inaugurerà la democrazia in Iraq; che l’Africa stia crescendo; o più in generale che l’alta marea della globalizzazione stia innalzando tutti – hanno posto le basi di questa “post-fattualità” o “post verità” a livello universale. Tali affermazioni stravaganti, se non false, certamente hanno contribuito all’ostilità che molti individui poco istruiti nutrono nei confronti dei più istruiti.

Gli insuccessi degli esperti hanno di nuovo sollecitato un’irrazionale fantasia volontarista, con al centro il popolo sovrano che riacquista sovranità. Ciò che c’è di nuovo – e veramente “storico” – è che questo è accaduto nell’ambito del moderno Occidente; finora abbiamo identificato le ribellioni contro le scelte politiche di ingegnerizzazione sociale ed economica dall’alto solo con azioni compiute in Paesi non occidentali e sottosviluppati. La Rivoluzione Islamica del 1979 contro la modernizzazione dello Scià, ritenuta un qualcosa di radicalmente dirompente guidato dalle teorie degli esperti, è stato uno di questi momenti di ribellione feroce – la prima “grande insurrezione contro i sistemi globali”, come Michel Foucault l’aveva giustamente definita. Originariamente diretta da iraniani di sinistra, la rivoluzione popolare fu dirottata da un chierico ignorante. Trump è un opportunista di questo tipo, che arriva proprio “al momento giusto”. Di certo, Rousseau non sarebbe stato sorpreso di vedere che la rivolta di oggi contro le élite ha dato potere a un troll di Twitter proprio nella nazione cuore della modernità.

18 novembre 2016

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