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L'obbligo morale della compassione

Le voci degli intellettuali in Israele contro la guerra

Un conflitto politico, ma soprattutto umano. È quello che insanguina il Medio Oriente dopo i nuovi scontri tra Israele e Hamas. Centinaia di vittime, bombardamenti, ma anche voci contro le violenze.

Voci che vengono anche dal mondo della cultura israeliana, che esprimono vicinanza ai fratelli israeliani, costretti a nascondersi nei rifugi al suono delle sirene, ma anche ai palestinesi di Gaza, che vivono nel terrore e ogni giorno piangono perdite tragiche.

Allo scoppio delle ostilità lo scrittore israeliano David Grossman si affidava ad una "speranza che, senza ignorare i pericoli e le numerose difficoltà, si rifiuta di vedere solo quelli. La speranza che, se le fiamme del conflitto si affievoliranno, potrebbero ancora emergere, a poco a poco, i tratti sani ed equilibrati dei due popoli sui quali comincerà ad agire il potere terapeutico della quotidianità". Oggi, con l'insasprirsi del conflitto, altre voci si sono aggiunte a quella di David Grossman.

“Il massacro deve cessare. Così non si può andare avanti” - ha dichiarato lo scrittore israeliano Meir Shalev in un’intervista a Repubblica. Shalev sottolinea però un pessimismo di fondo, notando che, se in Israele sono in pochi ad alzare la voce per chiedere la pace, è perché “questa voce non c’è. L’80% degli israeliani si dichiara favorevole al piano di pace, ai due Stati. Nei sondaggi. Ma in verità non è così”.

Gideon Levy, uno dei più importanti giornalisti ed editorialisti israeliani, in un articolo pubblicato il 31 luglio sul quotidiano Haaretz, commenta con sarcasmo l'atteggiamento degli israeliani, che scaricano la propria coscienza individuando in Hamas l'unico responsabile della guerra. "Ma anche attraverso la perfida nube della negazione, anche intuendo come è facile dare la colpa di tutto a Hamas - Israele non ha mai avuto un nemico così facile, che può essere calunniato per tutti i suoi peccati - dobbiamo chiederci se tutto è davvero colpa di Hamas. Israele è davvero completamente innocente? Di fronte a Gaza distrutta e insanguinata, opera di mani israeliane, una tale negazione è incomprensibile." Per le sue scomode e corrosive prese di posizione Levy è stato più volte minacciato di morte da estremisti fanatici nel suo Paese. 

Daniel Barenboim, direttore musicale del Teatro La Scala di Milano, Messaggero di Pace delle Nazioni Unite e cofondatore della West-Eastern Divan Orchestra - un gruppo di giovani musicisti arabi e israeliani - richiama invece al dovere morale della compassione. “Questo è il momento di cercare una reale e vera soluzione al problema. Un cessate il fuoco è indispensabile, ma non basta. L’unico modo per uscire da questa tragedia, l’unico modo di evitare altro orrore - scrive Barenboim sul quotidiano israeliano Haaretz - è approfittare di questa situazione senza speranze e costringerci a parlarci reciprocamente. Alla base di una necessaria riconciliazione vi è la necessità di un reciproco sentimento di empatia, o compassione. Secondo me, la compassione non è unicamente un sentimento che deriva da una comprensione psicologica dei bisogni di una persona, ma è un obbligo morale. Solo cercando di capire le difficoltà dell’altra parte possiamo avvicinarci reciprocamente. In questo conflitto siamo tutti dei perdenti. Possiamo vincere questa triste situazione solo se iniziamo ad accettare le sofferenze e i diritti dell’altra parte. Solo partendo da questo riconoscimento possiamo provare a costruire un futuro insieme”.

Un simile richiamo arriva anche da Achinoam Nini, meglio nota come Noa. In una lettera aperta la cantante israeliana piange per entrambi i popoli, e invita a tendere una mano ai moderati. “Ci sono solo due fazioni - si legge nella lettera della cantante - e non si tratta di israeliani e palestinesi, ebrei ed arabi, ma soltanto di moderati ed estremisti. […] Solo il dialogo potrà salvarci. Solo uno sforzo congiunto per emarginare per quanto possibile gli estremisti potrà riaccendere qualche speranza. Se di nuovo scegliamo la spada al posto della parola, se santifichiamo la terra anziché la vita dei nostri figli, ben presto saremo costretti a cercare una patria sulla luna, perché la nostra terra sarà così inzuppata di sangue e stipata di tombe che non resterà più posto per i vivi. Ho scritto queste parole e le ho cantate con la mia amica Mira Awad. E oggi suonano più vere che mai: ‘Quando piango, piango per entrambi. Il mio dolore non ha nome. Quando piango, piango rivolta al cielo spietato e dico: Ci deve essere un’altra strada’”.

25 luglio 2014

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