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La sicurezza israeliana dopo Auschwitz

il peso odierno della scelta di non bombardare il lager

Immaginatevi un generale israeliano che ha il potere di comandare un raid sulla Siria o sull'Iran. Probabilmente penserete a una specie di "Rambo". Immaginatevelo in Germania, nel 1987. Forse penserete che addestri lui i militari tedeschi. In realtà, secondo Haaretz, il Gen. Amir Eshel, un ramo della cui famiglia era di origine russa ed è stato completamente annientato dai nazisti, in quel viaggio nella Repubblica Federale Tedesca rimase paralizzato alla sola vista di un'infermiera tedesca. 
Aerei israeliani in volo su Auschwitz

Da lì nacque il progetto del volo 301, una spedizione dell'aeronautica israeliana sui cieli di Auschwitz, compiuta il 4 settembre 2003, mentre altri alti ufficiali dell'IDF, scelti da Eshel sempre tra coloro che avevano perso parenti nei campi di sterminio, celebravano cerimonie a terra, davanti alla rampa della selezione nazista.
Immaginatevi la situazione internazionale vista da questo "Rambo-non Rambo" nel 2003: seconda intifada, ondata di antisemitismo in Europa, bombe suicide, attentati mirati, civili israeliani uccisi sugli autobus e nei caffè. Una realtà che viene ormai interpretata alla luce del passato: Eschel e i suoi collaboratori da questo volo Radom-Auschwitz, intrapreso inizialmente per la consapevolezza di avere un trauma, cominciano a studiare prima le foto aeree scattate dagli americani nel 1944, poi l'intera storia della Seconda Guerra Mondiale e del mancato bombardamento americano sul campo di sterminio

Lo spettro del passato grava sulla coscienza di Israele
Un collaboratore di Eshel, il Generale Shkedy, i nonni e le zie uccise nei lager nazisti, tre anni dopo è comandante nella Seconda Guerra del Libano. Sarà lui a pianificare anche la drammatica Operazione Piombo Fuso. E sul tavolo ha le foto di Auschwitz, ai suoi collaboratori ha spedito le immagini del volo 301 e quelle del 1944, nella convinzione che sia questo senso di tragedia a dover animare chi è chiamato a occuparsi della sicurezza di Israele. 
Il punto non è essere d'accordo o meno con questa immagine, è farla propria per capire quanto sia profondo il trauma. Questo spiega come mai il volo del 2003 e il dilemma che si trovò davanti Roosevelt nel 1944 se bombardare o meno Auschwitz-Birkenau siano al centro della coscienza di Israele e dei suoi dirigenti, invece di essere ormai relegate a mere questioni storiche o militari. 

Essere pronti a tutto
Il dibattito in Israele si è sviluppato a partire dalle tesi dello studioso Yehuda Bauer, secondo cui Auschwitz non fu bombardato perché si temeva che i tedeschi avrebbero ricostruito le ferrovie e non si credeva fino in fondo nel dovere di salvare gli ebrei. Roosevelt non sarebbe stato accecato dall'antisemitismo come Hitler, ma sarebbe stato comunque "un padre di famiglia poco disposto a mandare i figli in una scuola frequentata da ebrei". E così avrebbe mancato di fare un atto fortemente simbolico per gli ebrei: dare un inequivocabile messaggio morale di condanna e sanzione allo sterminio

Dal 2008 si è cominciato a parlare di minaccia iraniana agli ebrei, dal 2010 di minaccia siriana. L'uso delle armi chimiche - i gas - da parte di Assad - e a dire il vero anche dei ribelli - è considerato dall'attuale Presidente americano come una "linea rossa" che potrebbe portare a un bombardamento, qualora le mediazioni di Papa Francesco e i giochi diplomatici della potenza russa fallissero. Israele con i suoi leader militari segnati dall'Olocausto riscopre questo passato e si interroga. C'è chi come Moshe Arens consiglia di starne fuori e chi come Gregory J. Wallance suggerisce di reagire militarmente, sia pure nell'ambito di un'operazione autorizzata dal Consiglio di sicurezza dell'ONU. 

L'antisemitismo e l'identità di Israele

C'à anche chi contesta la tesi dell'antisemitismo di Roosevelt. Secondo Jack Schwartz "la questione non è se Roosevelt potesse fare di più per gli ebrei, ma se abbia fatto di più per loro degli altri leader mondiali". Secondo questo studioso gli USA avviarono la Conferenza di Evian per cercare di salvare gli ebrei europei, e furono le altre nazioni in quella sede a rifiutarsi di accogliere gli ebrei sul loro territorio. Gli Stati Uniti invece avrebbero salvato 250.000 ebrei durante la Presidenza Roosevelt, che non sarebbe stato indifferente al destino degli israeliti, ma avrebbe dovuto fare i conti con una pericolosa situazione militare. In pratica bombardare le ferrovie per Auschwitz avrebbe richiesto una rischiosa distrazione di risorse rispetto all'obiettivo, cui inglesi e americani sacrificarono un gran numero di vite umane, di bombardare le ferrovie in Francia per preparare lo sbarco in Normandia. 

Qualcuno potrebbe pensare che il parallelo tra l'Olocausto e le minacce moderne a Israele abbia un che di morboso e di kitsch. In realtà ai generali israeliani questo serve per ricordare che anche le foto aeree dei lager nel 1944 sembravano impossibili, eppure erano vere. Loro considerano un dovere essere pronti a qualunque evenienza, più che rievocare il trauma. 


Secondo Haaretz questo riferimento agli eventi della Seconda Guerra Mondiale ha anche un richiamo identitario in un momento di profonda divisione tra i cittadini di Israele, dovuta all'occupazione dei territori palestinesi e un certo "cinismo" della politica di Tel Aviv. Auschwitz quindi risponde a un bisogno, è un simbolo che i piloti dell'aeronautica israeliana hanno visto con i loro occhi e portato sotto gli occhi degli israeliani per ricordare il senso di una storia comune. Questa è la drammatica situazione che vive Israele oggi, diviso, in guerra (anche simbolica - Carl Gustav Jung ha intuito che i conflitti agitano in noi tutti i possibili spettri di antiche guerre, e questo è ancora più comprensibile per chi ne ha avuto vittime in famiglia), e con i cittadini costretti a fare la fila davanti alle installazioni militari per reperire le maschere antigas.

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