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"La Turchia può solo attendersi una pseudo-stabilità"

di Cengiz Aktar

Il professor Cengiz Aktar, analista politico turco, ha scritto per il quotidiano francese Libération un'interpretazione degli esiti delle elezioni in Turchia, che hanno visto vincere di nuovo il Presidente Erdoğan. 

"La Turchia ha ri-votato per ridare all'uomo forte del Paese, il Presidente Recep Tayyip Erdoğan, la maggioranza parlamentare necessaria per governare da solo. I risultati dello scorso 7 giugno, che hanno fatto perdere la maggioranza al partito governativo, l'AKP, non erano piaciuti al "rais", perché negavano la sua ossessione di un potere indiviso, incontrollato e arbitrario".

Dopo questa introduzione, Aktar passa a spiegare come Erdoğan avrebbe tentato di impedire al partito filo-curdo HDP di superare lo sbarramento del 10%, imprimendo alla tornata elettorale una svolta plebiscitaria. 

Secondo lo studioso, il potere assoluto di Erdoğan era già stato messo in crisi nel 2013 dall'occupazione di Gezi Park, "quando un movimento spontaneo e apolitico di giovani si creò per impedire la costruzione di un ennesimo centro commerciale". Di lì a pochi mesi, sarebbe inoltre scoppiato un grande scandalo di corruzione che toccava le più alte sfere del governo. 

Erdoğan, prosegue Aktar, ha fatto della subordinazione del potere giudiziario all'esecutivo la cifra del suo potere. Inoltre ha promosso uno sviluppo economico selvaggio e irrispettoso dell'ambiente, "senza né freni, né contrappesi". La conseguenza di ciò sarebbe la creazione di un'economia completamente basata sul consumismo, senza più alcuna produzione reale. Come si spiega allora il nuovo successo del Presidente? Il politologo turco chiarisce: 

"La spiegazione dell'enigma di questo risultato elettorale ancora forte per l'AKP, malgrado uno scenario socio-politico molto degradato, risiede giustamente nella presenza di tutti coloro che temono di perdere prebende piccole e grandi, distribuite generosamente dal regime nel corso degli anni. Ma questa manna economica fa capire allo stesso modo i limiti strutturali che il Paese deve affrontare ora: un'industria basata sull'importazione e l'assemblaggio, un'agricoltura in liquidazione da alcuni decenni, dalla quale ogni giorno escono schiere di disoccupati non qualificati e che fa della Turchia un importatore netto di prodotti agricoli, un sistema educativo in fallimento, una ricerca molto carente. 

È per tutti questi motivi che questa vittoria non stabilizzerà il Paese. A questi mali si aggiungano l'ossessione di Erdoğan di diventare un presidente alla maniera di Putin, le profonde fratture (curdi-turchi; aleviti-sunniti; laici-islamisti) che attraversano la società, inasprite sistematicamente dal potere, la messa in crisi delle libertà fondamentali e lo stato delle grandi istituzioni pubbliche, cannibalizzate dai lealisti del regime".

Aktar denuncia anche "l'incompetenza" di questi burocrati che, per esempio, avrebbero fatto sprofondare il Paese nella palude dei conflitti medio-orientali, perseguendo un sogno "ottomano" senza averne i mezzi. La diplomazia turca avrebbe così appoggiato i neo-salafiti dell'Arabia Saudita e perfino l'ISIS, Nusra e al Qaeda. E non ci sarebbe solo questa "medio-orientalizzazione" del Paese in corso, testimoniata dai tragici fatti di Ankara di ottobre, ma anche un suo crescente isolamento

Ecco perché, conclude Cengiz Aktar, "la principale prospettiva della Turchia, che risiedeva nell'adesione all'Unione Europea, è stata ignorata evidentemente fino a oggi, da una parte e dall'altra". 

Cengiz Aktar è Senior Scholar all'Istanbul Policy Center, esperto di minoranze e fautore della riconciliazione tra turchi e armeni, in passato consulente per 22 anni all'Onu, oggi scrittore ed editorialista per il network televisivo Al-Jazeera e i quotidiani Zaman e Taraf, membro del Board della Hrant Dink Foundation.

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