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Lettera di un rabbino: perché non mi sento neutrale

Rabbi Neil Janes scrive a un amico israeliano

Neil Janes è Rabbino alla Sinagoga ebraica liberale. Sta studiando per conseguire un PhD in Pensiero ebraico con l’università di Haifa. Ha vissuto in Israele prima di tornare nel Regno Unito per il rabbinato congregazionale, dove è voce di punta dell’ebraismo progressista. Ha dedicato a un amico israeliano una lettera pubblicata da Haaretz, una risposta sul tema se sia possibile raggiungere un giudizio obiettivo sulla situazione a Israele e a Gaza.
Di seguito pubblichiamo la traduzione della sua lettera. 



Caro amico,
mi hanno detto che eri alla ricerca di informazioni obiettive su ciò che sta accadendo in Israele in questo momento, che volevi un parere “neutrale”. Sinceramente, è impossibile raggiungere un giudizio “neutrale”.
Si può comprendere qualcosa di questa regione a partire dallo sviluppo delle religioni abramiche, il legame con la terra di Israele, la storia antica della terra di Gerusalemme e ciò che questa città ha significato per migliaia di anni. Possono insegnarci qualcosa anche il legame degli ebrei con la terra e la connessione con la terra e la natura dell’identità araba, in particolare palestinese, e il suo legame con questo territorio. Possiamo poi comprendere questa regione a partire dalla storia mondiale – la natura del conflitto, il colonialismo e la fine dell’Impero Ottomano. Possiamo anche comprendere qualcosa attraverso la storia del pensiero politico, ivi inclusa l’ascesa del nazionalismo (non semplicemente di destra): lo sviluppo dell’idea dello Stato nazione e del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Non dobbiamo dimenticare la storia contemporanea dello Stato di Israele, né ignorare la Shoah, la natura mutevole del potere occidentale, il diritto internazionale.
Ma tutto ciò non aggiunge nulla alla mia risposta.
Io credo appassionatamente alla ricerca della giustizia e della pace, all’eguaglianza per ogni uomo e alla necessità di sostenere sempre il rispetto dei diritti umani per tutti. Sono anche un ebreo e mi sento molto legato al destino del mio popolo. Sono al contempo universalista e particolarista, com’è proprio dell’identità del 21° secolo. Ciò significa che quando tre ragazzini ebrei vengono rapiti e assassinati solo per il fatto di essere ebrei, sento un profondo dolore. Il loro assassinio si riflette anche sulla mia identità di ebreo, perché non sono diverso da loro e se fosse capitato ai miei figli sarebbero probabilmente andati incontro alla stessa sorte.
Ma questo significa anche che provo un profondo dolore anche quando un ragazzino palestinese viene assassinato in quella che si suppone essere una vendetta. La letteratura ebraica insegna il valore della vita, non solo della vita ebrea. E sono disgustato dal fatto che un attacco di quel tipo possa essere stato sollecitato ed eseguito da ebrei. La vita è sia universale (fatta di valori, idee ed esperienze che si applicano in egual modo a tutto il genere umano) che particolare (in quanto ebreo ci sono cose che condivido con altri ebrei e con le loro famiglie).
Ma questo conflitto ha anche un’importanza esistenziale. Non posso essere “neutrale” quando c’è una volontà di annientare sia il mio popolo che la sua presenza nello Stato di Israele. Non posso essere neutrale quando si nega al popolo palestinese la legittima aspirazione a uno Stato quale espressione della propria autodeterminazione e lo Stato di Israele continua ad esercitare troppo potere sul destino di quel popolo.
Come posso essere neutrale, dato che sono i miei amici a cercare rifugio contro le bombe o lasciare i figli a casa quando vengono richiamati nell’esercito come riservisti? Come posso essere neutrale quando la perdita della vita è un trauma e una tragedia che viene inflitta sia agli israeliani che ai palestinesi – vittime di questo meccanismo di violenza e guerra?
Non posso essere neutrale quando l’unico fattore che impedisce agli attacchi indiscriminati con i razzi di lasciare dietro di sé danni e dolore è il fatto che Israele investe nella protezione dei propri cittadini.
Come posso essere neutrale, quando molti palestinesi innocenti vengono usati come scudi umani dal regime brutale di Hamas a Gaza, che penso sia più interessato a cancellare Israele dalla mappa geografica che a lottare per il suo popolo che spera nell’autodeterminazione? Come posso essere neutrale quando so che le voci dell’odio e della vendetta stanno acquisendo più forza tra gli israeliani ebrei e i palestinesi?
Non possiamo essere neutrali. La neutralità implica qualcosa di impossibile – un’assenza di valori, come se ci fossero semplicemente dei fatti “oggettivi” quando si tratta della vita umana. È così complicato, e ci sono così tante sfumature e grandi difficoltà nel leggere lo scenario che si sta profilando al momento.
E tuttavia, io continuo a lavorare per la pace, la giustizia, per una risoluzione del conflitto, per due Stati con confini sicuri. Continuo a impegnarmi per coltivare l’amore, l’empatia e il rispetto per gli altri esseri umani, ma capisco che è difficile farlo se si vive in mezzo al conflitto e non nel comfort di una casa nel Nord Est di Londra, come me.
Ecco il mio consiglio: leggi, rileggi, ascolta, ascolta veramente tutti, cerca di comprendere, fai un passo indietro e leggi ancora qualcosa. Non accettare risposte semplici a problemi complessi. Riconosci che non c’è una “versione” o “narrazione” che offra la verità obiettiva. Troppo spesso noi leggiamo solo materiale che conferma ciò di cui siamo già convinti: sforzati a dare differenti letture, a dare ascolto all’altra parte. Nelle parole di un buon amico e collega: “Oltre che leggere la realtà da diverse prospettive, abbiamo bisogno di comprendere che la verità non sta tra i diversi punti di vista – non stiamo sperando di raggiungere un compromesso tra due visioni della storia, ma piuttosto dobbiamo accettare che le narrazioni opposte sono entrambe parte di una verità complessa e costituita da molte voci”.
Infine, continua ad attenerti ai valori che un giorno, come io prego, trionferanno: la verità, la giustizia, la pace e l’amore. 
Tuo,
Rabbino Neil Janes

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