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"Lo stato palestinese è ancora lontano"

intervista ad Antonio Ferrari

Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, commenta la richiesta di riconoscimento dello stato palestinese avanzata alle Nazioni Unite.

Nascerà uno stato palestinese?

Io credo che realisticamente l’ipotesi sia ancora lontana. Non bastano più le parole: tutti continuano a dire che dovrà nascere uno stato palestinese, anche gli israeliani ma abbiamo visto quello che è accaduto alle Nazioni Unite: le posizioni sono sempre ferme. I palestinesi evidenziano che gli israeliani non danno la possibilità di rispettare le condizioni per riprendere il negoziato, cioè fermare gli insediamenti, per esempio, e quindi procedono per chiedere quello che gli israeliani non vogliono: il riconoscimento unilaterale dello stato e l’ingresso tra le Nazioni Unite.
Israele replica sottolineando la necessità di un negoziato...
Ma questo sarebbe un negoziato che comunque partirebbe zoppo, al di là delle parole e delle promesse di ciascuno, sembra un dialogo tra sordi. Tutte e due le parti sono entrambe deboli. Israele ha un governo prigioniero-ostaggio dell’estrema destra con punte di razzismo, mi riferisco al partito di Lieberman, alleato di Netanyahu, e sull'altro versante c’è un movimento palestinese in crisi, fragile perché diviso in due, tra l’autorità nazionale di Abu Mazen, Fatah, i laici in Cisgiordania e gli gli integralisti di Hamas a Gaza. Se noi sommiamo due debolezze non è detto che la risultante debba essere una forza.
Io credo che la passerella dell’Onu sia servita a entrambi: Israele ha potuto constatare che l’America la sostiene, Obama non se la sente di accentuare un contenzioso con lo stato ebraico, quindi per Israele sapere che l’America è al suo fianco è importante e forse dà anche la spinta a Netanyahu per osare quello che fino ad ora non ha osato, essendo prigioniero dell’estrema destra della sua coalizione di governo.
Ma questo può servire anche ai palestinesi. Uno studioso di Harvard diceva “In fondo è molto meglio tornare a casa con una sconfitta sapendo che una vittoria, anche se la si fosse dichiarata, non ci sarebbe stata". Della sconfitta si può accusare chiunque, il solito cinismo di coloro che non vogliono riconoscere i diritti dello stato palestinese, e questo impedisce ad Abu Mazen, che è già indebolito, di indebolirsi ulteriormente. Ecco quindi che si potrebbero ricreare le condizioni per la ripresa del dialogo ma tornare a dialogare significa fare dei passi avanti e io credo che ancora oggi, al di là delle parole, non ci siano le condizioni per questo.

C’è il rischio di una pulizia etnica in Palestina?

Questa è un’accusa presente da entrambe le parti: Abu Mazen ha parlato di una pulizia etnica compiuta dagli israeliani e Netanyahu ha restituito al mittente l’accusa affermando che la pulizia etnica è messa in pratica dai palestinesi, con il poco controllo della violenza. Nel momento in cui si smetterà di scambiarsi accuse sterili ci saranno le condizioni per riprendere un dialogo. Voglio citare ancora il Presidente Andreotti che, quando gli chiesi se vedremo mai la fine di questo conflitto, rispose "Io non la vedrò, ma ho il fondato sospetto che non la vedrà nemmeno lei". Questo per dire che o ci saranno delle condizioni che ora non si vedono, e che quindi potranno essere garantite da una generazione successiva, oppure andremo avanti con questa gestione di “non pace” e “non guerra”, e ciò non è salutare per la regione in questo momento di difficoltà globali.

C’è qualche intellettuale che lavora per la pace?

Ci sono molti intellettuali che lo fanno, sia da una parte che d’alltra. Purtroppo però gli intellettuali non vengono mai ascoltati. A volte gli intellettuali sono stati accusati, a ragione, di essere complici del potere di turno, e questo è accaduto tante volte e credo che succederà ancora. Oggi devo dire che su entrambi i fronti assistiamo alle prese di posizione di uomini di pensiero come Grossman, Amos Oz e Yehoshua, che sono contro l’attuale gestione del potere politico israeliano proprio perché vorrebbero creare le condizioni per un negoziato di pace e ci sono voci degli intellettuali palestinesi che non vedono solo tutte le ragioni ma anche gli errori macroscopici della Palestina. E questo cosa significa? Vuol dire che in questo caso gli intellettuali andrebbero ascoltati ma la logica di potere oggi lo impedisce, questo è un limite che accentua la gravità della crisi in Medio Oriente e del padre di tutti i conflitti, quello israeliano-palestinese.

26 settembre 2011

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