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Nel nome di Farkhunda

la ribellione delle donne afghane

Si sono svolti a Kabul i funerali di Farkhunda, la ragazza afghana linciata e uccisa perché accusata di aver bruciato una copia del Corano. Centinaia le persone, tra cui alcuni membri del Parlamento, che hanno partecipato alla funzione.

Dopo le violenze a cui è stata sottoposta Farkhunda - aggredita a calci e bastonate all'ingresso della moschea di Shah-Du-Shamshaira, poi trascinata fino alle rive del fiume per essere data alle fiamme - a lanciare un forte segnale sono state alcune donne, che durante il funerale hanno portato la bara della giovane, togliendola di mano agli uomini e sfidando le abitudini afghane.

Un atto di vero coraggio civile, quello delle amiche, conoscenti o semplici donne che hanno portato il feretro dichiarando: “Portiamo noi la bara di Farkhunda. Era una figlia dell’Afghanistan. Oggi toccherà a lei, domani a noi”. La storia della giovane, infatti, se da un lato ha commosso e diviso la società afghana, dall’altro è solo l’ultimo di una tristemente lunga serie di violenze contro le donne nel Paese.
Secondo le stime di Human Rights Watch, infatti, l’87% delle donne in Afghanistan continua a subire violenze fisiche, sessuali, psicologiche o è vittima di matrimoni forzati.”La violenza - si legge inoltre in un rapporto delle Nazioni Unite del dicembre 2013 - resta una parte inestricabile della vita delle donne e delle ragazze afghane”.

Donne protagoniste a Kabul come a Mersin, in Turchia, dove a febbraio si sono svolti i funerali di Aslan Ozgecan, la studentessa stuprata, uccisa e data alle fiamme. Anche le donne di Mersin avevano accompagnato il feretro di Aslan al cimitero, rifiutando che fossero gli uomini non solo a trasportarlo, ma anche a seppellirlo, sfidando il potere maschile e i ripetuti moniti degli imam.

Con questi gesti, le donne di Kabul e di Mersin hanno trasformato il dolore in ribellione, dando voce alle migliaia di Farkhunda e di Aslan, vittime della violenza maschile.

23 marzo 2015

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