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Proteste in Sudan contro al Bashir

dimostrazioni a Khartum contro il regime

Alle proteste che animano il Sudan da più di una settimana, il governo del Paese ha risposto con il pugno di ferro. Le dimostrazioni, dirette contro il taglio dei sussidi al carburante, si sono trasformate in un’occasione per chiedere le dimissioni del Presidente Omar al Bashir.

Secondo fonti governative, le vittime degli scontri sono 33. Diversi invece i numeri denunciati da attivisti e organizzazioni che si occupano di diritti umani - tra cui la stessa Human Rights Watch - che parlano di un centinaio di morti. Le proteste, secondo Al Jazeera, sono le più gravi nei 24 anni di storia del regime di al Bashir.

Il Centro africano di studi sulla giustizia e la pace e Amnesty International hanno chiesto al governo sudanese di cessare immediatamente l'uso della forza arbitraria e illegale nei confronti dei manifestanti. L'intelligence invece starebbe usando sistemi come la detenzione di massa e la tortura nei confronti di oppositori politici e attivisti, che vengono arrestati senza possibilità di comunicare con i parenti e i propri legali.

Le notizie intanto corrono sul web, nonostante la temporanea chiusura dell’accesso a Internet stabilita dal regime il 25 settembre.

Ora i dissidenti stanno progettando una nuova protesta antigovernativa, aumentando lo stato di allarme delle organizzazioni per i diritti umani. L'uso della forza arbitraria e illegale potrebbe infatti diventare ancora più intenso. “Le proteste continueranno - racconta un giovane attivista - e noi porteremo alla luce del sole le brutali tattiche del regime, che contrasta le dimostrazioni uccidendo le persone. Questo regime arriverà alla fine...se Dio vuole tutto questo finirà”.

Il malcontento popolare nei confronti delle scelte economiche del governo sudanese ha le sue radici nella divisione tra Sudan e Sud Sudan, avvenuta nel luglio 2011. Nel Sud Sudan infatti sono concentrati i tre quarti delle riserve di greggio dell’area, in precedenza gestite dal governo di Khartum.

Il Presidente Omar al Bashir è stato negli scorsi giorni al centro delle cronache internazionali anche per la sua discussa partecipazione - poi annullata - alla sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Al-Bashir, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra, è uno dei maggiori responsabili del genocidio in Darfur. Se si fosse recato a New York, in base ad accordi internazionali gli Stati Uniti - pur non essendo parte della Corte penale - avrebbero dovuto trattenerlo al momento del suo ingresso nel territorio americano, come richiesto nel 2010 dal Consiglio di Sicurezza ONU.

30 settembre 2013

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