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Quando Avraham Burg incontra Hadash

il dibattito con Yossi Beilin sulla "Israeliness"

"Sono morto perché ebreo", il cartello di protesta di alcuni ebrei francesi

"Sono morto perché ebreo", il cartello di protesta di alcuni ebrei francesi (account twitter di Eleonore Franz)

Ai primi di gennaio, sul giornale Israel Hayom, l'ex ministro e negoziatore degli accordi israelo-palestinesi Yossi Beilin criticava il politico Avraham Burg per il suo sostegno al partito Hadash, il partito "non sionista", bensì "arabo-ebraico" israeliano favorevole alla soluzione dei due Stati, fondato nel 1977 come costola del Partito comunista israeliano. 

L'ex Presidente della Knesset gli risponde con un articolo dal titolo Beilin, my friend: Your ideological path has reached its end. Let's try something else (Beilin, amico mio: il tuo cammino ideologico è giunto al termine. Proviamo qualcosa d'altro) pubblicato da Haaretz l'11 gennaio. 

"Sei la persona più influente nel mio percorso politico", scrive Burg, che comincia il suo pezzo ricordando all'amico una triste realtà: il fatto che nonostante i suoi sforzi e le sue "straordinarie conquiste", "il sionismo, un'impalcatura che ha contribuito a formare Israele come un forte e stabile edificio", al momento è da smantellare a favore di un progetto nuovo, per via dello stallo nei negoziati israelo-palestinesi e perché, "anche se è stato un grande successo per i cittadini ebrei israeliani, è stato causa di disperazione per tutti gli altri".

La proposta di Burg, che si inscrive nell'ambito del dibattito sulla ebraicità di Israele e del progetto del Likud di definire Israele come "Stato ebraico" discriminando i suoi abitanti arabi, è di fondare questo Stato sul concetto di israeliness, "israelicità". 

Di che cosa si tratta? Di un tipo di cittadinanza, spiega, "egualitaria, che assicurerebbe la legittima esistenza del popolo ebraico, rimediando alle principali ingiustizie commesse contro i palestinesi. Israeliness - prosegue - è il cognome di ognuno di noi, e i nostri nomi riflettono ciò a cui apparteniamo culturalmente e spiritualmente come individui e nelle nostre collettività (ebrei, musulmani, cristiani, arabi e qualsiasi altra denominazione). Per che cosa avremmo bisogno ancora del sionismo a meno che vogliamo perpetuare ancora le ingiustizie e le discriminazioni nel nome di un'ideologia che ora ha superato gli scopi per la quale era nata?".

Burg continua argomentando: 

"È triste e doloroso da dire, ma la versione moderna del sionismo è il principale sistema che crea discriminazioni tra gli ebrei e tutti gli altri. Io credo che l'unico modo di salvare Israele dalle minacce di distruzione che incombono su di esso sia di sostituire il discorso nazionalista con un discorso civile. Questo implica una transizione da una terribile lotta tra i diritti preferenziali per gli ebrei e un eccessivo disagio per gli arabi in direzione della creazione di uno spazio civile comune ed equo.   

L'Israele che vorrei vedere è una società impegnata per la normalità civile, una democrazia che appartenga a tutti i suoi cittadini, nella quale ogni individuo sia uguale nonostante le differenze che ci sono tra di noi e nella quale ognuno di noi abbia intrinsecamente diritto agli stessi diritti. Un Israele nel quale vi sia reale separazione tra religione e Stato, affiliazione tribale e diritti e libertà. Un Israele in cui questo principio di eguaglianza degli individui permetta ai gruppi di unirsi in un 'insieme' nazionale, in cui gli ebrei esprimeranno la propria autodeterminazione scegliendo, come i palestinesi, che l'affermazione di questo principio per una parte non implica la distruzione dell'altra. In altre parole, un nazionalismo di eguali, sì: un credo di 'eletti' che guarda dall'alto in basso le minoranze e in modo ostile a chi sta fuori, no. E chiunque non è preparato a rinunciare alle armi dell'arroganza, della separazione e della discriminazione è un nazionalista per antonomasia".  

Non è difficile intuire la portata di questo dibattito mentre il mondo si prepara ad affrontare un terrorismo islamista sempre più aggressivo. È tornato alla ribalta il tema del grado di integrazione e soprattutto di sicurezza garantita agli ebrei dai Paesi europei, e la scelta dei parenti delle vittime ebree degli attentati del 7 gennaio di fare seppellire i loro cari in Israele è diventata presto oggetto di una piccola crisi diplomatica tra Hollande e Netanyahu. 

 Z'vi Barel su Haaretz del 14 gennaio pone proprio la domanda più provocatoria: "Come si può chiedere alla Francia, alla Germania e agli Stati Uniti di trattare gli ebrei come cittadini uguali agli altri, quando Israele si appresta a discriminare una parte di sé?". Il dibattito a proposito della legge sullo Stato-nazione ebraico è destinato a diventare sempre più complesso e pressante. 

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