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Turchia, più democrazia contro il golpe - Demirtas

il partito HDP contrario allo stato di emergenza

“Un tentativo di colpo di stato attuato da golpisti contro altri golpisti" perché "l'attuale governo è al potere grazie a un colpo di stato 'civile', ed è quindi necessario assumere una posizione netta contro entrambe le tendenze golpiste e combatterle. Governare grazie a elezioni tenute in una situazione di guerra, violenze e bombardamenti sulle città si configura come un colpo di stato 'civile' ed è altrettanto illegittimo quanto cercare di prendere il potere per via militare con carri armati e cannoni”.

Lo ha detto Selahattin Demirtaş, Co-Presidente del Partito Democratico dei Popoli - Halkların Demokratik Partisi (HDP), in un'intervista data a Osman Oğuz per l'agenzia Yeni Ozgur Politik.orgpubblicata sul sito dell'HDP, in cui condanna senza esitazioni il “putsch” con cui, nella notte del 15 luglio, una parte dei militari ha cercato di prendere il potere in Turchia e destituire il Presidente Recep Tayyip Erdoğan. Demirtaş ricorda che la democrazia nel Paese era di fatto già sospesa da mesi per effetto delle misure repressive dirette contro le forze di opposizione, i media indipendenti e la popolazione delle regioni sud-orientali a maggioranza curda. 

Il suo partito - fondato nel 2012 da forze filo-curde e di sinistra e da rappresentanti dei movimenti ambientalista e femminista e delle minoranze religiose - aveva già preso nettamente le distanze dal fallito golpe militare nella stessa notte dell’attacco, con una nota congiunta di Demirtaş e della Co-Presidente Figen Yüksekdağ, che affermava l'opposizione di principio a qualsiasi tipo di colpo di stato, in qualsiasi situazione e circostanza. “La Turchia deve diventare una democrazia pluralista e liberale, favorire la pace all'interno e all’estero, tutelare i valori e le convenzioni universali democratiche”.

Nell'intervista Demirtaş spiega che le responsabilità del partito di governo AKP non possono essere cancellate solo perché un gruppo di militari ha tentato di sottrargli il potere: l'unica alternativa è che le forze democratiche prevalgano, altrimenti il colpo di stato attuato dall'AKP uscirà rafforzato. Inoltre ricorda che il movimento curdo non ha approfittato del mancato golpe per penetrare nelle città approfittando del caos. “Erdogan ha accusato i curdi di essere al fianco della struttura parallela nel complotto contro di lui e ha giustificato con questa motivazione la fine del processo di pace. Ma i curdi non si sono schierati con nessuna delle due fazioni golpiste, sono fermi nel sostenere la lotta dei popoli per la democrazia”. 
Il Co-Presidente dell’HDP parla anche del rischio di attacchi da parte di sostenitori dell’AKP contro i curdi e altre minoranze come gli aleviti, contro gli esponenti della sinistra e gli intellettuali.

Un pericolo denunciato ieri anche dalla Delegazione di Imrali dell'HDP, formata dai deputati già incaricati di seguire le trattative per una soluzione pacifica del conflitto tra lo stato e il movimento autonomista curdo facendo da tramite tra il governo e Abdullah Öcalan, il leader del Partiya Karkerên Kurdistanê‎ - PKK  (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan fuorilegge in Turchia), condannato all'ergastolo e detenuto nel carcere dell'isola di Imrali in isolamento pressoché totale.
In una conferenza stampa i componenti della Delegazione di Imrali, Sırrı Süreyya Önder, İdris Baluken e Pervin Buldan, hanno chiesto al governo l'autorizzazione per un incontro con Öcalan e la fine del regime di isolamento. Una condizione che, dopo il tentato colpo di stato, espone il detenuto a gravi rischi per la sua sicurezza. I deputati hanno ricordato che Öcalan era stato il primo a parlare di una struttura parallela che si stava infiltrando nelle istituzioni dello stato e voleva sabotare il processo di pace."Le operazioni del KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan), sono un esempio di questi sabotaggi. La sicurezza di Öcalan deve essere riesaminata, perché un possible attacco a Imrali trascinerebbe la Turchia in una guerra civile senza fine", secondo i membri della Delegazione di Imrali dell'HDP.

Intanto la repressione post-golpe da parte del governo prosegue con la proclamazione dello stato di emergenza in tutto il Paese per tre mesi, in base all’articolo 120 della Costituzione, al fine di “eliminare l’organizzazione terroristica” guidata dai seguaci dell’ideologo islamista Fetullah Gülen, in esilio negli Stati Uniti dal 1999, dopo aver rotto una lunga alleanza con Erdoğan. In seguito a questa misura viene sospesa la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che prevede per ogni cittadino la possibilità di rivolgersi alla Corte Europea dei diritti dell'uomo a Strasburg in caso di violazioni commesse dal proprio stato. Un fatto che desta grande preoccupazione alla luce degli arresti di massa e delle minacce rivolte ai presunti membri dell'organizzazione parallela.

Lo stato di emergenza è stato approvato dal Parlamento di Ankara con 346 voti favorevoli e 115 contrari tra i deputati del CHP (partito repubblicano laico di ispirazione kemalista) e dell'HDP che, in una nota ha accusato il governo di aver scelto una strada che alimenta l'odio e la violenza e ha fatto appello a tutte le istituzioni impegnate per la pace e il lavoro, ai sindacati, agli ordini professionali, alle organizzazioni di massa, dei giovani e delle donne, ai partiti e a tutti i cittadini per mobilitarsi per la sicurezza, la libertà e il futuro democratico della Turchia.

Al tentativo di colpo di stato, che ha causato 246 morti e oltre 1.500 feriti il governo ha risposto con oltre 9.300 arresti e una raffica di sospensioni dal servizio che hanno colpito 9.000 tra agenti di polizia e funzionari pubblici e oltre 21.700 dipendenti del Ministero dell'Istruzione, mentre sono state revocate le licenze per 21.000 dipendenti delle scuole private.

Il Consiglio Superiore per l'Istruzione della Turchia (YÖK) ha chiesto le dimissioni di tutti i 1.557 rettori in servizio nelle università private e statali in tutto il Paese, di cui oltre 1.100 sono in atenei statali, e ha ordinato alle università di sospendere tutti gli incarichi accademici all’estero e richiamare gli universitari attualmente fuori dal Paese per incarichi, salvo casi eccezionali. Anche per 626 scuole e istituzioni gestite dal movimento di Gülen è stata disposta la chiusura.

Nella magistratura il Procuratore Capo ha ordinato mandati di arresto per 110 giudici e pubblici ministeri, di cui 86 detenuti dalla polizia. Per 32 di loro è stata confermata la permanenza in carcere.

Messi a silenzio anche i media, tra cui diversi canali televisivi, con la revoca delle licenze per l’attività: le emittenti STV, Samanyolu Haber, Samanyolu Haber Radyo, Can Erzincan TV, Kanal 124, Yumurcak TV, Hira TV, MC TV, Dünya TV, Kanal Türk, Bugün TV, Mehtap TV, Berfin FM and Kanal Türk sono state spente per presunto coinvolgimento nel colpo di stato, secondo il sito Middle East Eye.

Le organizzazione per i diritti umani hanno lanciato l’allarme per il grave pericolo che le libertà stanno correndo in Turchia e per il possibile ripristino della pena di morte (abolita nel 2004), invocata dai manifestanti a favore di Erdoğan, che riempiono le piazze, e ventilata dallo stesso Presidente. Amnesty International ha annunciato che sta indagando sulle notizie provenienti da Ankara. “Gli arresti di massa e le rimozioni dall'incarico costituiscono sviluppi preoccupanti in un contesto di crescente intolleranza verso il dissenso pacifico da parte del governo turco. Il rischio è che il giro di vite si estenda ai giornalisti e agli attivisti della società civile. Negli ultimi mesi attivisti politici, giornalisti e altre voci critiche sono stati frequentemente presi di mira e mezzi d'informazione sono stati chiusi", ha commentato John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l'Europa e l'Asia centrale.

Il responsabile per i diritti umani delle Nazioni Unite Zeid Ra'ad Al Hussein ha chiesto alle autorità turche di rispondere al tentativo di golpe “difendendo lo stato di diritto, garantendo la tutela dei diritti umani e rafforzando le istituzioni democratiche. A seguito di un'esperienza così traumatica, è particolarmente cruciale garantire che i diritti umani non siano negati in nome della sicurezza e nella fretta di punire coloro che sono ritenuti responsabili", dice il comunicato dell'Alto Commissariato per i diritti umani dell’ONU (ONCHR).

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