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Una casa per i profughi siriani in Libano

Intervista a Giovanni Marinelli, ideatore di "Campo Primavera"

Aiutare i siriani di un campo profughi in Libano a costruirsi da soli una casa e dei bagni comuni al posto delle tende e baracche fatte con mezzi di fortuna ai bordi delle strade e nei terreni agricoli. È l’obiettivo del progetto “Campo Primavera”, ideato da Giovanni Marinelli, laureato in lingua araba ed esperto di Siria e Libano,  coinvolgendo gli abitanti del Campo Primavera: siriani di Homs rifugiati nel Nord Libano in cerca di pace, sicurezza e dignità.
Con una campagna di crowdfunding i promotori puntano a raccogliere 5.000 dollari per costruire almeno una casa e i servizi comuni in terra e paglia, tecnica tradizionale ecologica e a basso costo per produrre edifici belli, sicuri, confortevoli.
Un’iniziativa per garantire un bene primario, la casa, a chi ha dovuto lasciare tutto per sfuggire alla guerra, ma soprattutto per richiamare l’attenzione sul dramma dei profughi siriani in Libano: 1.173mila registrati ufficialmente al 9 luglio 2015 dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR), ma stimati in quasi 2 milioni effettivi. Molti di loro, avendo il visto di ingresso scaduto, sono profughi illegali, sfruttati e sottopagati e ridotti alla disperazione. Situazione che si sta aggravando con i recenti sgomberi effettuati dall’esercito libanese in 41 campi nella zona di Akkar, dove abitavano circa 5.300 persone, molte delle quali senza alternative, se non vivere in strada.

In assenza di interventi da parte delle grandi organizzazioni umanitarie per fare fronte all'emergenza, il progetto "Campo Primavera" tenta una soluzione dal basso, in cui i profughi diventano parte attiva, come spiega Giovanni Marinelli in questa intervista.

Come è nata l’idea alla base del progetto?

Ho studiato arabo per dieci anni, di cui quasi tre trascorsi tra Libano e Siria, e nel 2014 ho accompagnato, come interprete, i volontari di “Operazione Colomba” (Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII) in un viaggio esplorativo nei campi dei profughi siriani nel Nord del Libano, nel distretto di Akkar, dove abbiamo vissuto tre mesi. Una notte ci siamo fermati per caso in un ostello di terra e paglia, costruito da un’associazione libanese per promuovere questa tecnica tradizionale tipica di quei paesi, caduta in disuso negli ultimi decenni. Incuriosito, ho comprato un manuale su questo tipo di costruzioni e l’ho mostrato agli abitanti del “Campo Primavera”, dove facevamo base. La matriarca di una famiglia allargata ha raccontato che, prima di sposarsi e trasferirsi nella città di Homs, aveva vissuto in campagna in una casa fatta in quel modo, costruita da tutta la famiglia. Dal suo racconto mi è venuta l’idea di utilizzare questo sistema come alternativa alle baracche di legno, plastica e cartone in cui vivono i profughi siriani.

Chi ha coinvolto in questa iniziativa?

Al progetto partecipano, oltre a me, Clara Cibrario Assereto, che ha vissuto e studiato a Damasco nel 2009 e ora vive a Milano, dopo essere stata ricercatrice e project manager al Senseable City Lab del MIT di Boston fino al 2014, e Manuela Errol, laureata all’Accademia di Brera, che ci ha aiutato a costruire il sito. Inizialmente abbiamo optato per la piattaforma di crowdfunding “indiegogo.com”, con un obiettivo di 5.000 dollari e il bando tradotto in inglese per trovare donatori anche fuori dall’Italia. Ma ci siamo resi conto che così non funziona e quindi ora cerchiamo di promuovere la raccolta molto più sul piano locale. La Comunità di base delle Piagge di Firenze ha accettato di collaborare con noi, appoggiando il progetto e rendendosi garante della gestione dei soldi. Alla fine della campagna di crowdfunding i fondi ottenuti verranno versati sul conto della Comunità di base, che sarà concretamente coinvolta nella realizzazione del progetto, e invierà un membro della Comunità in Libano a seguire i lavori.

Una volta raggiunta la somma prevista come procederete?

Le abitazioni saranno costruite e rimarranno sul terreno, affittato con un contratto quinquennale che dura altri tre anni. L’affitto fino al 2015 è stato pagato da un attivista siriano, che gestiva dei finanziamenti dai paesi arabi, interrotti però alcuni mesi fa per problemi politici. A questo punto, grazie ad alcune donazioni gli abitanti del campo sono riusciti a pagare l’affitto annuale della terra (3.200 dollari) e potranno quindi restare nel campo fino all’aprile 2016. Se il progetto sarà realizzato, i profughi stessi, lavorando come operai, potrebbero con i loro salari pagare collettivamente l’affitto dell’anno successivo (fino all’aprile del 2017).

Oltre a dare una soluzione temporanea al bisogno dei profughi di un’abitazione dignitosa, avete altri obiettivi, per esempio proporre un modello da riprodurre su scala più grande?

Il nostro progetto è un esperimento. All’inizio avevamo pensato anche di realizzare più edifici residenziali rispetto alle due strutture previste. Poi ci siamo resi conto che la priorità era consentire a queste persone di pagare l’affitto del campo e imparare a usare la tecnica tradizionale di costruzione. E a questo fine era più praticabile ridurre il budget e fare un “progetto pilota” eventualmente replicabile.

Cosa succederà quando scadrà il contratto di affitto del terreno?

Non siamo in grado di prevedere cosa succederà, quale sarà il destino dei profughi, ma se questo progetto riesce, queste persone potranno intanto rimanere un altro anno nel “Campo Primavera” e avere una abitazione e dei bagni comuni. Tutti loro vorrebbero tornare in Siria, si tratta in maggioranza di abitanti del quartiere di Bab Amr di Homs, assediato per anni, da cui sono riusciti a scappare, spostandosi da un posto all’altro della Siria per evitare i combattimenti e finendo in Libano. Le loro case a Homs sono state rase al suolo e la proprietà dei terreni sarebbe stata venduta a degli iraniani. Ma il loro desiderio è tornare, anche se hanno perso tutto.

Lei non lavora nel campo della cooperazione e degli aiuti umanitari. Perché si è lanciato in questa impresa?

In Siria avevo molti amici, è un Paese che mi sta a cuore e volevo essere di qualche aiuto. Ho accompagnato ”Operazione Colomba” in Libano perché mi è sembrato di riprendere un filo interrotto. Vedere da vicino la disperazione e frustrazione dei profughi mi ha spinto a cercare di fare qualcosa. Il progetto “Campo Primavera” non è una soluzione definitiva, ma è l’unica cosa sensata e concreta che ho potuto ideare in quel contesto.

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