Gariwo
https://it.gariwo.net/magazine/diritti-umani-e-crimini-contro-lumanita/una-storia-libanese-11309.html
Gariwo Magazine

Una storia libanese

un racconto di Hafez Haidar

Hafez Haidar è uno scrittore e poeta di origine libanese, ma di cittadinanza italiana. Nel 1986 sceglie di abbandonare la carriera diplomatica e dedicare tutta la sua attività all’insegnamento e alla scrittura per costruire un ponte di dialogo tra l’Italia e il Medio Oriente. È docente all'Università degli Studi di Pavia, dove ha tenuto anche corsi finanziati dalla Comunità europea. 

Con le più importanti case editrici italiane ha pubblicato vari libri di saggistica e narrativa - tra gli altri Letteratura araba (Rizzoli), La prediletta del profeta (Piemme), Maometto e i diamanti del Corano (Oscar Mondadori) - ed è stato insignito di numerosi premi letterari e riconoscimenti per il suo impegno in favore della cultura della pace. Ha inoltre curato e tradotto per le edizioni Piemme le principali opere del poeta e filosofo libanese Kahlil Gibran.

Nel racconto che pubblichiamo di seguito, Hafez Haidar offre uno spaccato della lunga guerra civile che ha afflitto il Libano dal 1975 al 1990, attraverso le vicende di una tipica famiglia di Beirut.

 


Conservo un ricordo nitido di quel giorno: era il 13 aprile e il sole stava ormai planando sulla linea dell’orizzonte, distribuendo la propria luminosità sulla superficie increspata del mare di Beirut. Mi piaceva appoggiarmi alla balaustra del terrazzo per osservare il passaggio del testimonio in questa staffetta perenne tra il giorno e la notte. Ero talmente catturata dal quotidiano spettacolo della natura da riuscire ad estraniarmi dal caos che mi circondava: i clacson insistenti delle macchine che affollavano le vie della città, il via vai di donne, uomini e bambini, le urla dei venditori ambulanti, i litigi scherzosi degli uomini che giocavano a carte o a tawila nella caffetteria dell’angolo, ammorbando l’aria con il denso profumo di tabacco persiano fumato con il narghillé e mischiato con l’aroma del café turque.

Come tutti i giorni, rinvigorita da quell’incredibile spettacolo, ho raggiunto mia madre e le mie bambine ed ho proposto loro di proseguire la lettura ad alta voce di alcuni racconti de "Le Mille e una notte”.

Mentre eravamo intente a seguire le storie narrate dall’affascinante Sharazàd, mia sorella Alia ci ha raggiunte, offrendoci un tè alla menta e dando avvio ad una conversazione imperniata sui ricordi del passato che ogni tanto faceva capolino nelle nostre discussioni.

Fino a non molti anni prima mia madre era la donna più affascinante della famiglia, con la sua carnagione chiara, gli splendidi occhi scuri, la capigliatura rossa tenuta sempre in perfetto ordine e il portamento fiero ed elegante.

L’inattesa perdita di mio padre, avvenuta quando lei aveva quarant’anni, l’aveva ridotta alla povertà e alla solitudine. Nonostante le nostre tragiche condizioni economiche, aveva sempre rifiutato sdegnosamente i pretendenti che le proponevano il matrimonio. E dire che mio padre era talmente geloso e viveva con il terrore che mia madre potesse tradirlo! A volte, prima di uscire di casa, la chiudeva in camera oppure ordinava a mio zio di sorvegliarla a vista. E le mie zie paterne, piene d’invidia nei suoi confronti, dicevano ad alta voce e senza alcun ritegno: “Nostro fratello doveva  proprio sposare questa donna? Avrebbe potuto aspirare alla più ricca e alla più bella del paese e invece ha scelto lei! Non sa cucinare, né stirare, né tenere un discorso nell’alta società, eppure crede di essere una principessa!”

Mia madre, che incassava tutto senza riuscire ad alzare le braccia per ripararsi il viso dai colpi sinistri, col tempo si è convinta sempre più di essere piena di difetti. E nessuno, nemmeno mio padre, si é accorto che ormai si trovava sull’orlo del precipizio. Soffriva terribilmente e in silenzio, in un periodo in cui nessuno conosceva che cosa significasse essere depressi. Tutti le dicevano:” Sei arrabbiata e stanca. Prendi un’aspirina e vedrai che il mal di testa ti passerà.”

Col passare dei giorni mia madre mi è sembrata sempre più distante ed assente, inavvicinabile ed irraggiungibile. Avevo dieci anni quando l’ho sentita  gridare nel cuore della notte:” Aiutatemi, uccidete i ragni e i serpenti che si trovano sul muro!”

La donna che mi era sembrata sempre così giovane ed esplosiva come un uragano era diventata impassibile, isolata, come se abitasse su un’isola lontana dal resto del mondo. La osservavamo, ma non riuscivamo a capire cosa gli frullasse nella testa. I suoi unici passatempi consistevano nel fumare una sigaretta, sorseggiare il caffè con lentezza e leggere le carte; devo ammettere che era molto abile nell’indovinare il destino degli altri, ma ahimè, non il suo. E quando prediceva il futuro di qualche parente, ti sembrava di assistere ad un film Hollywoodiano.

All’improvviso, mentre stavo viaggiando nel passato, una voce squillante mi ha risvegliata e mi ha fatto tornare alla realtà. {...}

La versione integrale del racconto è disponibile nel box approfondimenti

8 luglio 2014

Non perderti le storie dei Giusti e della memoria del Bene

Una volta al mese riceverai una selezione a cura della redazione di Gariwo degli articoli ed iniziative più interessanti. Per iscriverti compila i campi sottostanti e clicca su iscrizione.




Grazie per aver dato la tua adesione!

Contenuti correlati