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La cultura della pace per unire la Siria

intervista a Isber Sabrine

Heritage for Peace è un’organizzazione che si occupa di sostenere i siriani negli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale del Paese. Il progetto è nato da un’idea di Isber Sabrine, un giovane archeologo siriano, e ha sede a Girona, dove Sabrine si è recato per terminare gli studi, poco prima dello scoppio del conflitto.
Con Isber abbiamo parlato di Palmira, del legame tra cultura e identità e del suo lavoro con Heritage for Peace.

In questi giorni si parla molto della conquista di Palmira da parte dell’Isis e del rischio della distruzione del sito. Cosa sta succedendo?

Dopo essere rimasto vicino al sito, qualche giorno fa l’Isis è entrato a Palmira. Questo è stato per me una grande sorpresa: come è possibile che i fondamentalisti siano arrivati così velocemente? L’Isis è partito da Raqqa ed è arrivato a Palmira in due giorni, ma com’è potuto accadere se la coalizione internazionale sta controllando l’area?
Appena ho letto la notizia, ho chiamato il direttore delle Antichità di Palmira, un amico che conosco da tanti anni. Lui era preoccupato per il Museo, dove è custodita la collezione dei Templi Reali, e io gli ho chiesto cosa si potesse fare. La risposta è stata immediata: “abbiamo bisogno di elicotteri per trasportare i reperti”.
Allora ho provato a contattare la coalizione, ma per avere tali mezzi era necessario un accordo politico, e non è stata possibile alcuna iniziativa, nemmeno tramite l’UNESCO.
Abbiamo anche parlato con l’esercito di Assad, chiedendo di inviare più supporto militare. Il giorno dopo, il 16 maggio, ho però perso il contatto con il territorio di Palmira. I telefoni sono fuori uso, Internet non funziona, e ancora oggi sto aspettando notizie del mio amico.

Non si è riuscito a fare nulla per Palmira, dunque?

Negli ultimi giorni in quella zona ci sono stati diversi scontri tra regime e Isis. Due giorni fa mi ha chiamato il direttore della Antichità di Damasco per comunicarmi che erano fortunatamente riusciti a trasportare la collezione del Museo di Palmira, utilizzando dei camion. 
Questo tuttavia non è sufficiente: abbiamo bisogno di un grande intervento internazionale, organizzato dall’ONU, per poter proteggere la città, o almeno di una risoluzione che richiami al dovere del mondo di salvare Palmira. Stiamo lavorando per questo, ovvero per un’iniziativa simile a quella pensata per Timbuctu, in Mali. 
L’Isis ha voluto prendere Palmira perché è un sito di importanza mondiale, e questo aiuterà a fare una grande propaganda. Proprio per questo ci siamo addirittura chiesti se fosse opportuno parlare con i media o se questo aiutasse la strategia dello Stato Islamico. I fondamentalisti tuttavia continuano la loro brutale avanzata con o senza il nostro intervento sui media, quindi abbiamo scelto di parlarne e far vedere che questa attenzione non proviene solo dai siriani, ma da tutto il mondo.

Prima ancora di essere patrimonio dell’umanità, Palmira è patrimonio della cultura siriana. Esiste un legame tra arte e identità?

Assolutamente sì. Se distruggono Palmira, infatti, perdiamo un grande simbolo dell’identità della Siria. Purtroppo noi siriani - e gli arabi più in generale - abbiamo un grande problema indentitario. Se si è verificato tutto questo caos negli ultimi anni è anche grazie alla mancanza di una forte identità culturale, di un sentimento della patria. Quello che c’è sono dittature o fondamentalisti, e noi dobbiamo scegliere tra queste alternative. Tutto ciò ha giocato in favore dell’Isis, che ne ha approfittato per risultare attrattivo, offrendo a dei giovani che si sentivano persi uno Stato religioso, denaro, potere, diritti e opportunità. 
Noi ora ci stiamo dedicando a un importante progetto: ricostruire la grande identità siriana dopo la guerra. Lavoriamo nei campi profughi, e vogliamo usare il patrimonio culturale per il supporto psicologico dei bambini traumatizzati dal conflitto. Vogliamo dire loro “ragazzi, il vostro Paese non è uno spazio distrutto dalla guerra, ma un luogo con una grande cultura, una grande storia, è un Paese che ha tantissime belle cose”. Lavoriamo per quella che chiamiamo la cultura della pace, perché la Siria è di tutti noi siriani, il nostro patrimonio è un patrimonio che deve unire perché noi - cristiani, sunniti, alawiti - abbiamo avuto questa storia comune. Ed è importantissimo lavorare con i bambini, che sono stati colpiti da tutto quello che sta succedendo, ma sono la speranza per il nostro futuro.

Ritieni che il conflitto sia legato al fallimento delle primavere arabe?

Sicuramente. Le primavere non hanno funzionato, non hanno potuto fare quello che la gente si aspettava, fondamentalmente perché non c’è una base. Per creare la democrazia in un Paese, le persone devono avere diritti, ed è questo che è mancato. Inoltre è aumentato il radicalismo, anche in conseguenza alla crisi economica che ha colpito gli Stati delle primavere arabe. Non c’è lavoro, e i giovani disperati hanno ceduto alle lusinghe dell’Isis. Ecco quindi spiegato il legame tra la situazione attuale e le primavere arabe. Hanno fallito quasi tutte, tranne quella tunisina - anche se paradossalmente la Tunisia è il Paese da cui partono più giovani per arruolarsi tra le fila dell’Isis.

Attualmente risiedi in Spagna, dove ti sei recato prima del conflitto in Siria per terminare gli studi. Come vivi questa situazione?

Da cinque anni non posso tornare in Siria, né rivedere la mia famiglia. Durante il primo anno di conflitto mi sentivo perso: non potevo accettare quello che stava succedendo perché sapevo com’era la Siria, era il mio Paese e l’avevo conosciuto bene lavorando come guida turistica per diversi anni.
Con il tempo ho deciso di occuparmi, attraverso Heritage for Peace, del patrimonio artistico siriano. Il nostro lavoro, non ancora finanziato - siamo tutti volontari - si basa sul coinvolgimento di tutti i siriani, sia del regime che dell’opposizione. Si tratta di archeologi ed esperti d’arte, ma anche studenti, professori e attivisti che vogliono fare qualcosa per aiutare la cultura del loro Paese. E ora cominciano ad arrivare le prime risposte positive: il governo italiano, ad esempio, ci ha chiesto di presentare alcune proposte per progetti su cui intervenire.

Negli ultimi giorni ci si è concentrati su Palmira e sulla salvaguardia del patrimonio artistico, in un Paese dove dall’inizio del conflitto ci sono stati milioni di sfollati e centinaia di migliaia di vittime. Ci sono stati, secondo te, “due pesi e due misure” nel trattare le notizie?

I media, fin dall’inizio del conflitto, hanno parlato tanto della Siria. Tuttavia, la notizia di Palmira ora è più “accattivante”, e per questo se ne discute di più. In ogni caso, credo che sia necessario ricordare che la vita umana viene prima dei monumenti e delle pietre. 
Quando abbiamo iniziato il nostro lavoro ci siamo chiesti cosa potessimo fare per essere d’aiuto, e ci siamo detti che anche il patrimonio culturale è importante per le persone, la loro vita, la loro anima. Noi possiamo fare solo questo, non possiamo andare a combattere. La cosa più importante è la vita umana, però non possiamo stare fermi, e se si può fare qualcosa, perché non farlo?

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

25 maggio 2015

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