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​La via Hrant Dink a Gezi Park

di Dogan Akhanli

Dogan Akhanli è uno scrittore turco-tedesco famoso per libri come Die Richter des Jüngsten Gerichts (I giudici della corte più recente), in cui tratta del genocidio armeno, e per avere sfidato la giustizia turca denunciando l'omicidio del giornalista Hrant Dink. Il 6 marzo 2015 è stato onorato come "Giusto contro tutti i genocidi" a Düsseldorf, durante la prima Giornata Europea dei Giusti svoltasi in Germania. Ha voluto dedicare a Gariwo il seguente scritto. 

Ad aprile 2013, il mio ultimo giorno a Istanbul, tenni una performance dal mio libro "Die Richter des Jüngsten Gerichts" (I giudici della corte più recente), in quattro lingue: armeno, tedesco, curdo e turco. I testi armeni furono letti da Ani Balikci, la madre di Sevag Balikci.

Un assassinio nel giorno dell’anniversario

Il venticinquenne Sevag Şahin Balıkçı è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco da un camerata mentre svolgeva il servizio militare. Non in un giorno qualsiasi, bensì il 24 aprile, il giorno nel quale ricordiamo il genocidio armeno del 1915.

L’assassinio sarebbe stato uno sbaglio, hanno detto i comandanti ai parenti.

Ani Balıkçı mi ha raccontato la storia della loro famiglia. Il padre Mardion è nato a Sivas, la madre Sona a Istanbul. Ani ha sposato il marito Garabet Balikci nel 1978 e nel 1980 hanno avuto la figlia Lerna. Il figlio Sevag era nato il 1 aprile 1989. Era portato per i lavori manuali e voleva occuparsi di produzione della ceramica. Seguì quindi dei corsi artistici e professionali. Svolgeva il servizio militare in una stazione di polizia in una zona montana ai confini orientali della Turchia. 17 giorni prima del congedo, fu ucciso da Kivanc Agaoglu. L’assassino era un noto ultranazionalista, i cui commenti estremistici di destra si possono sempre vedere su un sito Web.

Ani Balıkçı ha detto: “Ci hanno rimandato indietro nostro figlio con due fori nel petto. In una bara di legno”. Le hanno chiesto se la bara sarebbe dovuta essere avvolta nella bandiera turca. “Perché no, ha detto, se gli armeni vengono considerati sempre ‘miscredenti’ in questo Paese, anche se sono i suoi abitanti più antichi. Perché no, ha risposto, “se gli armeni superstiti devono pur vivere sotto questa bandiera? Perché mio figlio con i fori nel torace non dovrebbe essere avvolto in questa bandiera?”.

Dopo l’omicidio di suo figlio, la sua vita si è trasformata in un incubo. Il dolore infinito le ha arrecato ferite incommensurabili. Tuttavia, lei voleva rimanere forte e lottare.

Perciò si è impegnata assieme con Rakel Dink, la vedova del giornalista armeno Hrant Dink ucciso nel 2007 da un giovane ultranazionalista a Istanbul in mezzo alla strada, la cui battaglia contro l’ingiustizia e per la democrazia è già passata alla storia.

“La questione armena non esiste più?“

Hrant Dink era ancora in vita quando noi, appartenenti a un popolo di colpevoli, abbiamo organizzato per la prima volta a Colonia, nel 1999, una serie di iniziative sul tema del genocidio contro gli armeni. Il titolo della prima manifestazione suonava così: "La questione armena non esiste più?" La citazione proviene dai discorsi di uno dei principali responsabili del genocidio, Talaat Pascià, che aveva pronunciato quella frase senza punto interrogativo. A metà degli anni Ottanta l’intellettuale Ralph Giordano, da poco scomparso, aveva girato un documentario sull’annientamento degli armeni, con lo stesso titolo. Dato che forze turche minacciavano la rete WDR, questa emittente finanziata a metà dallo Stato poté trasmettere il documentario solo una volta. Dieci anni più tardi, ero da poco in Germania e non sapevo quasi niente di Ralph Giordano, tranne che era un antirazzista che non scendeva a compromessi. Una volta appresi di una riunione in programma a Colonia. Il titolo era: "Culture nella molteplicità". La riunione era organizzata dal Forum Culturale Turchia-Germania. Invitati erano attivisti per i diritti umani della Turchia, dove in quel momento erano al potere un islamista e un antisemita, persone come Necmettin Erbakan morto un paio d’anni fa. Oltre agli intellettuali turchi, che mi hanno molto impressionato, perché si erano schierati onestamente e coraggiosamente per i diritti umani e la democrazia in Turchia, tra i relatori c’era anche Ralph Giordano. Dopo che gli ospiti turchi hanno esposto i problemi attuali della Turchia, intervenne anche lui. Disse che voleva porre loro la domanda: "Anche se vi schierate così coraggiosamente e con determinazione per i diritti umani e la democrazia in Turchia, perché tacete sul genocidio armeno?"

In un momento, il silenzio pervase tutta la sala della manifestazione, e si protrasse per minuti interi. Quando ricominciò la discussione, rimase il sentimento che Ralph Giordano fosse veramente riuscito a distruggere l’armonia tra i benintenzionati presenti.

E io per la prima volta sentii come noi, gli appartenenti alla società turca, avevamo interiorizzato la negazione del genocidio senza porci domande.

A quel tempo ero sicuro, e lo sono ancora oggi, che tutti i presenti sapevano dei cosiddetti "tragici eventi". Ognuno di noi conosceva almeno una storia sulle crudeltà perpetrate contro gli armeni, ne aveva sentito parlare già da bambino o da giovane o ancora più tardi, da adulto. Ma indipendentemente dal fatto che fossero radicali di sinistra, nazionalisti o pii musulmani, allora esisteva una sorta di tacito accordo: ignorare, tacere, mentire, non appena venisse discusso l’annientamento degli armeni nel 1915-1916.

"Genocidio e memoria"

Nel 1999 furono organizzati i cicli di incontri "Genocidio e memoria" da associazioni turche, curde e tedesche e altre iniziative nel centro civico Alte Feuerwache a Colonia. Il direttore dell’Istituto per la diaspora e la ricerca sui genocidi dell’università di Bochum fu il primo ospite. Per lui, i Giovani Turchi nel 1915-1916 avrebbero per così dire "risolto la questione armena" attraverso l’annientamento. Ora rimaneva aperta la questione turca. E cioè la questione di come, in quale maniera, la Turchia volesse fare i conti con la sua storia di colpevolezza.

Allora non sapevo come avrei affrontato io stesso questa questione.

Le letterature turcofone su questo tema offrivano spunti ben miseri. Fino alla fine degli anni '90 non veniva pubblicato in Turchia alcun libro su questo argomento, nemmeno uno sui fatti storici nudi e crudi. La Belge-Verlag, che più tardi è diventata anche il mio editore, iniziò allora a pubblicare i primi libri sul genocidio contro gli armeni. Iniziò con Yves Ternon, "Tabu Armenien", che fu subito vietato anche se continuò a passare di mano in mano e fu letto da molti. Un anno più tardi Taner Akcam, che allora viveva in Germania, pubblicò un libro dal titolo "Armenien und der Völkermord: Die Istanbuler Prozesse und die türkische Nationalbewegung" – Armenia e genocidio, i processi di Istabul e il movimento nazionalista turco (Hamburger Edition, 1996).

La lettura di questi libri fu una cosa. Un’altra fu domandarmi come ci si avvicina a questa violenza eccessiva, e, anche, certamente, come criticarla. A tal fine il confronto con la Shoah ci ha offerto molto materiale intellettuale e didattico. Se non avessimo potuto fare riferimento a queste esperienze, sarebbe stato considerevolmente più arduo per la nostra società civile confrontarsi con con il genocidio contro gli armeni.

I nazionalisti e ultranazionalisti di destra volevano sabotare questo confronto, per esempio cercando di impedire l’accesso a queste riunioi. In Turchia nello stesso tempo il numero dei libri sul genocidio contro gli armeni aumentava, ma a parte Hrant Dink e un paio di altri intellettuali, il silenzio continuò a regnare.

Una sollevazione per la giustizia, la democrazia e i diritti umani

Dopo l’assassinio di Hrant Dink nel 2007, centinaia di migliaia di persone protestarono nel corso di manifestazioni spontanee a Istanbul e Ankara. Centinaia di migliaia sfilarono con cartelloni con la scritta "Siamo tutti Hrant. Siamo tutti armeni!“, e accompagnarono la bara in un corteo funebre lungo otto chilometri. Da quel momento lo Stato turco e i nazionalisti non possono più impedire il confronto della società civile con il tema "genocidio degli armeni". Da quel momento in poi, in Turchia hanno avuto luogo manifestazioni di ricordo del genocidio in molti luoghi. Le proteste di massa non violente e la sollevazione della società civile hanno fatto sì che gli obiettivi degli attentatori di Hrant Dink non incontrassero palesemente alcun favore nella società.

Nel 2012 è iniziato il cosiddetto movimento di Gezipark. Le proteste a Istanbul, che hanno entusiasmato anche me, le ho seguite e osservate dalla Germania. Dopo la mia prigionia di quattro mesi nel 2010 sono rimasto un mese in Turchia, mi sono trovato con gruppi della società civile e ho parlato con molti giovani. Già allora percepivo quelle proteste non come qualcosa di apolitico, ma come un tema che mi era sempre appartenuto. Quei giovani erano anti-dogmatici e curiosi.

Io penso che la nuova generazione sappia molto. Conosce molto, perché sente molte cose. Per esempio, che i Giovani Turchi durante la prima guerra mondiale hanno annientato gli armeni e più avanti hanno deportato anche i greci. Sentono che nel 1938, nella zona di Dersim non so quanti alawiti e curdi furono massacrati. Sentono che dopo il putsch militare del 1980 mezzo milione di persone sono state arrestate, molte delle quali sono state torturate e addirittura sono scomparse. Gli arrestati, i torturati, gli scomparsi e i giustiziati sono i loro genitori, zii, zie e nonni. Su questo le istituzioni statali avevano steso un silenzio durato decenni, e nel Paese si taceva; ma ora la generazione presente vuole uscire da questo silenzio.

Nel verde Gezi Park si trovava prima un cimitero armeno. Intorno al 1919, dopo il processo a Istanbul contro i Giovani Turchi autori del genocidio, vi era stato eretto un monumento alle vittime armene.

Il processo di Istanbul fu il primo processo incentrato sul tema del "crimine contro l’umanità". Il processo celebrato a Costantinopoli fu una sorta di Processo di Norimberga. Il 15 luglio 1919 Talaat, Enver, Cemal e il dr. Nazim furono condannati a morte in contumacia. Nell’insieme vennero pronunciate 17 condanne a morte da tribunali militari, di cui tre furono eseguite subito. Più carnefici, come Talaat, che erano stati aiutati dalla Germania a espatriare, recandosi soprattutto a Berlino, più tardi vennero uccisi a colpi di pistola da attentatori armeni. Il 6 dicembre 1921 l’ex gran visir Said Halim fu assassinato a Roma, il 21 luglio Cemal Pascià fu ucciso a Tblisi. Nell’aprile 1922 i capo dei servizi speciali "Teschkilat-ı Mahsusa”, Dr. Bahaddin Şakir, e il capo della polizia e “boia di Trebisonda”, Cemal Azmi, furono uccisi lo stesso giorno e alla stessa ora sulla Uhlandstraße a Berlino. Le loro tombe sono sempre nel cimitero turco di Neukölln a Berlino, a sinistra dell’ingresso della moschea di Neukölln. Le spoglie mortali di Talaat sono state visitate da due funzionari di alto rango turchi nell’occasione della loro visita al lager di Sachsenhausen il 20 febbraio 1943, quando le caricarono su un treno rapido per Istanbul. Cinque giorni più tardi Talaat fu collocato in un mausoleo di Stato nel cimitero d’onore "Monumento alla libertà" (Abide-i Hürriyet) sulla "Collina della libertà eterna" (in turco: Hürriyet-i Ebediyye Tepesi) nel quartiere di Istanbul, una zona che all’inizio del 20° secolo era abitata prevalentemente da cristiani (armeni e greci) come pure ebrei, che ne hanno plasmato le caratteristiche.

Nell’area del Gezi Park si fondono storie di violenza statale antiche e attuali. Per questo colpisce che i manifestanti di Gezi abbiano dedicato una via che attraversa il parco a Hrant Dink.

Traduzione di Carolina Figini

20 aprile 2015

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