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Era davvero impossibile salvare gli ebrei di Tracia e Macedonia?

intervento di Yuliana Metodieva

La Caporedattrice del Bulgarian Helsinki Committee presenta la sua relazione al convegno internazionale "Facing our past" svoltosi a Sofia il 5 e 6 ottobre 2012 per discutere le responsabilità della Bulgaria nel genocidio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. 

Le piccole nazioni non possono permettersi certi comportamenti, perché il loro tessuto sociale è molto delicato, ha detto il grande amico della Bulgaria Gabriele Nissim alla conferenza “Facing our past” organizzata dalla prestigiosa organizzazione per i diritti umani Bulgarian Helsinki Committee. Il problema è che la memoria di coloro che perirono nelle camere a gas, 11.343 ebrei delle “nuove” terre di Bulgaria, per effetto della politica genocida del monarca autoritario Boris III nel 1943, è ancora coperta dal silenzio nella società bulgara. Le riletture della storia bulgara prevalenti oggi rimuovono il fatto che per effetto di una scelta politica sovrana il regno di Bulgaria partecipò al Patto Tripartito con il Giappone e l’Italia e perfino all’Olocausto di una parte della popolazione ebraica del Paese! La situazione della propaganda nel 2012, durante il governo del GERB con primo ministro il populista Boyko Borisov, procede con manipolazioni da circa 70 anni sul fatto che la piccola Bulgaria è soltanto una nazione salvatrice dei suoi ebrei, mentre essa fu responsabile per la morte di quegli undicimila ebrei della Macedonia e della Tracia Egea. Tuttavia, nel marzo 1947, a Sofia fu celebrato il primo processo contro i carnefici della Shoah e i collaborazionisti del governo filonazista del premier Bodgan Filov subirono una condanna equa secondo il diritto internazionale.    


Era veramente impossibile per una piccola nazione come la Bulgaria compiere azioni giuste per il proprio destino? 
A giudicare dal comportamento del solo monarca amato dai suoi sudditi che avesse antenati tedeschi – re Boris III – che sposò l’italiana Giovanna di Savoia, figlia di re Vittorio Emanuele IIII, la risposta è “sì”. La tragica realtà della Seconda Guerra Mondiale per l’economia e la politica bulgara fu preceduta da almeno due fattori importanti. Il primo era l’aspirazione a mantenere i retaggi della Prima Guerra Mondiale, che erano gli effetti della politica avventurosa del re precedente, Ferdinando. Sentimenti filotedeschi tra gli industriali, nell’esercito e perfino nelle élite furono rafforzati da una “fratellanza delle baionette” nelle trincee di Guerra, e dalla forte influenza della scienza, medicina, letteratura e musica tedesche. D’altro canto, tra i più notevoli rappresentanti della classe media mercantile cresceva l’influenza del fascismo italiano. Il progetto di Mussolini di una “terza via” improntata al corporativismo determinò la pubblicazione del libro Fascist doctrine of the state del deputato e futuro primo ministro Alexander Staliysky, condannato a morte nel 1945 dopo l’avvento del comunismo. I seguaci del fascismo come lui sognano di trasformare la Bulgaria in un moderno Paese industriale, vogliono l’elettrificazione delle ferrovie bulgare, lo sviluppo delle campagne arretrate in modo tale da rendere la Bulgaria competitiva con il resto d’Europa. 
Certamente, una delle  derive dei progetti di modernizzazione dei seguaci bulgari del fascismo è l’antisemitismo. Nelle pubblicazioni a stampa delle organizzazioni, sindacati e gruppi civici fascisti, si accetta di cercare una soluzione ai problemi economici con piani di requisizione del capitale delle banche ebraiche. Nella pubblicità compaiono proclami basati sulla tesi della necessità di liquidare il complotto “giudaico-massonico” che trasferisce il denaro nelle mani dei prestatori e dei banchieri ebrei. Negli anni immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale, la Bulgaria aveva già tipici movimenti razzisti come quello dei legionari. Essi compivano pogrom contro la popolazione ebraica, rompevano le vetrine dei negozi degli ebrei e umiliavano i figli di Aaron, Fidel e Sarah sporcando la loro faccia con il lardo. Nel 1940, quando furono approvate le leggi antiebraiche sul modello tipico di quelle di Norimberga con il pretesto di proteggere la nazione, la Bulgaria non era ancora entrata in guerra. Gli incontri con Adolf Hitler e Goebbels erano ancora più mondani che politici. Lo stile di governo autoritario di re Boris III rappresentava un orizzonte deprimente per la piccola nazione bulgara. L’ideologia della guerra dichiarata contro il bolscevismo non riesce a celare gli appetiti di espansione territoriale. L’azione svolta dal Ministro degli Esteri italiano, il conte Galeazzo Ciano, ottiene risultati nel marzo 1943 quando viene firmato un protocollo per la nuova linea di demarcazione tra Bulgaria e Italia in territorio macedone. Per decreto viene infatti determinato il confine bulgaro-albanese. Per la gente è un sogno che si realizza: unificare le terre perdute nelle guerre precedenti. 
Re Boris III divenne inevitabilmente ostaggio della propria scelta di giocare una partita con i nazisti. L’incontro presso il Lago di Wannsee aveva stabilito di procedere alla soluzione finale della questione ebraica. Il Commissario bulgaro per gli affari ebraici Alexander Belev firmò un accordo con la Germania secondo cui 20.000 ebrei delle terre nuove e vecchie della Bulgaria dovevano essere deportati a Treblinka. Scortati dai soldati bulgari e con la partecipazione della polizia bulgara a Skopje, Bitola e Stip, quasi tutti gli ebrei della nazione furono caricati sui treni della morte. Il 90% di loro morì, il che fa capire chiaramente l’orrore di questo enorme massacro, il più grande d’Europa e in particolare dei Balcani. Da Salonicco, Ksantis e Kavala più di 400 mila persone sono caricate sui treni delle ferrovie bulgare. L’ideologia razzista del fascismo e del nazionalsocialismo condivisa dal governo di Boris portò alla compartecipazione di questa piccola nazione nello sterminio di massa perpetrato durante la Seconda Guerra Mondiale!

Tuttavia, perché la verità sulle ragioni che portarono all’Olocausto nella Bulgaria balcanica è stata taciuta così a lungo? 
Perché, per le nuove generazioni, è difficile districarsi nella complessa amalgama del fatto incontestato che 48.000 ebrei della “vecchia” Bulgaria sono stati salvati, mentre 11.343 altri ebrei furono condannati a perire nelle camere a gas? Perché è stato necessario per un’organizzazione per i diritti civili “suonare un campanello” nel 2012 e invitare a Sofia scrittori, sociologi, ricercatori dell’Olocausto dagli Stati Uniti, dalla Francia, dalla Grecia, dalla Macedonia e dall’Italia? Che la conferenza “Facing our past”, che ha offerto la possibilità di discutere della verità, del male e dell’onore morale di una nazione sia troppo tardiva?

La risposta è no 
Il dibattito europeo sulla memoria di quel male che va sotto il nome di genocidio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale non avviene ovunque con gli stessi tempi e le stesse modalità. Le nazioni, le società  si possono considerare mature per discutere verità gravi sui momenti bui della propria storia secondo il livello raggiunto dal loro pensiero democratico e dalla loro cultura civica. I Paesi post-comunisti come la Bulgaria hanno affrontato una difficile transizione dal regime totalitario, che ha disperso la cultura del dialogo civile, dell’identità spirituale, della libertà di pensiero e di parola.
La Bulgaria è ancora in lutto per le migliaia di vittime del comunismo, le persone uccise nei campi di Kutsiyan, Bobovdol e Skravena. Per poter guardare ancora più indietro, ricercando le ragioni e le circostanze che portarono alla tragedia dei bambini ebrei assassinati, ci vuole del tempo. Inoltre un elemento importante per una cultura della memoria è la maturità delle élite, ed esse non stanno sempre al loro posto. Uno scrittore italiano ha scritto un libro sulla figura più onorata, Dimitar Peshev, e le sue azioni del 1943. Si tratta de “L’Uomo che fermò Hitler”. Lo scrittore Nissim descrive come l’eminente deputato integrato nelle autorità fasciste votò per le leggi antiebraiche nel 1940, ma poi poté evolversi e opporsi a quelle stesse autorità nel 1943, contrastando la decisione di distruggere gli ebrei della nazione. Un teologo, avvocato e scrittore americano ha mostrato alla conferenza il film documentario “Empty boxcars”. In quest’opera Ed Gaffney ha mostrato come il giovane eroe riesca a vincere la paura e il senso di superiorità razziale verso l’”altro” inteso in senso etnico e religioso, ma altri possano tradirlo e restare a guardare indifferenti le partenze dei vagoni diretti a Treblinka. Il lavoro degli stranieri è di grande aiuto. Il discorso sviluppato all’esterno del Paese aiuta le élite che si alternano, spesso ben disposte verso il nazionalismo, di una nazione piccola e post-comunista come la Bulgaria a realizzare il proprio potenziale morale e cognitivo in modo tale da creare una narrazione storica in cui i momenti bui e quelli luminosi siano interconnessi senza danneggiare il delicato tessuto nazionale.                    

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