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Il caso Palatucci

terminati i lavori delle Commissioni

Giovanni Palatucci

Giovanni Palatucci

Nel 2013, il Centro “Primo Levi” di New York comunicò, attraverso una lettera al New York Times scritta dalla direttrice Natalia Indrimi, che il ruolo di Giovanni Palatucci nel salvataggio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale doveva essere messo in discussione, e che il questore di Fiume era anzi da considerarsi un collaborazionista. Drastico anche il giudizio sul vescovo Giuseppe Maria Palatucci, zio di Giovanni, accusato di essere l’artefice del mito del questore. “Tutto iniziò nel 1952 - si legge - quando lo zio vescovo raccontò questa storia per garantire una pensione ai parenti dell’uomo”.

La ricerca del Primo Levi Center è stata ripresa da Alessandra Farkas sul Corriere della Sera, dando origine a un dibattito in cui sono intervenuti, tra gli altri, Gabriele Nissim, Presidente di Gariwo, Matteo Luigi Napolitano, docente dell'Università Marconi di Roma e la storica Anna Foa.

Il Museo dello Yad Vashem di Gerusalemme ha esaminato il caso e ha concluso, nelle parole del prof. David Cassuto, che "non c'è nessuna novità, o presunta tale, che giustifichi un processo di revisione del riconoscimento di Giusto fra le nazioni conferito a Giovanni Palatucci il 12 settembre 1990”. 

Nel dicembre 2013 è stato quindi creato in seno al CDEC un gruppo di ricerca, coordinato dal presidente dello stesso CDEC Michele Sarfatti, per analizzare la vicenda del questore di Fiume. Il comunicato conclusivo emesso dalla commissione pochi giorni fa sancisce un nulla di fatto: saranno i singoli membri (Mauro Canali, Matteo Luigi Napolitano, Marcello Pezzetti, Liliana Picciotto, Micaela Procaccia, Michele Sarfatti, Susan Zuccotti) a esprimersi singolarmente. "Il gruppo ha quindi dibattuto - hanno dichiarato i ricercatori - con diversità di opinioni se fosse o no giusto produrre una relazione finale priva della parte sulle testimonianze, convergendo infine sulla non opportunità di produrla per evitare ad essa critiche di parzialità o di incompletezza". Una riflessione svolta "con amarezza, essendo consapevole che il proprio lavoro di ricerca documentaria e analisi storiografica aveva raggiunto un livello importante e innovativo".

Il Corriere della Sera ha successivamente pubblicato la replica di Natalia Indrimi, che sostiene: “Dallo spoglio di centinaia di documenti risulta che Palatucci in qualità di funzionario di polizia ha coadiuvato la persecuzione antiebraica dall'applicazione delle Leggi Razziali alle pratiche di rintraccio e identificazione degli ebrei nel periodo della Repubblica Sociale. Risulta altresì che le azioni di salvataggio di massa attribuitegli non sono mai avvenute e nell’unica documentata non ebbe ruolo alcuno. Che sulla soglia della disfatta dell’Asse, Palatucci, come d’altronde i suoi superiori, abbia cercato contatti con gli alleati o abbia espresso simpatia per gli ebrei è un dato biografico da tenere in considerazione ma che non cambia il suo operato”.

Sul questore di Fiume si è espressa anche una ricerca avviata nel gennaio 2010, che ha visto l’analisi di centinaia di atti depositati presso archivi in Italia, Belgio, Croazia, Germania, Israele, Stati Uniti, Regno Unito e Serbia. I lavori della Commissione sono stati promossi e presieduti dallo storico Prof. Pier Luigi Guiducci, docente di Storia della Chiesa presso il Centro Diocesano di Teologia per Laici di Roma (Istituto Ecclesia Mater, Pontificia Università Lateranense). Abbiamo ricevuto i risultati dei lavori dallo stesso Guiducci (il documento integrale è disponibile nel box approfondimenti); ne emergono riflessioni sul metodo di ricerca utilizzato e sul lavoro dello storico.

La Commissione ricorda le testimonianze di diversi esponenti della comunità ebraica, come Elena Ashkenasy Dafner Rehov, Rozsi Neumann e e Salvator Konforti, in favore di Giovanni Palatucci, e conclude che “Con le informazioni ritrovate negli archivi italiani e in quelli esteri, pare difficile sostenere la tesi che Giovanni Palatucci non fu un “Giusto”. Resta, comunque, un’esigenza. Quella di passare da una logica di morte (persecuzioni naziste) a una prospettiva di vita (costruzione di un mondo nuovo). Quella, cioè, di transitare, tenendo conto delle tante voci che provengono dalla Shoah, verso progetti di vita in grado di rompere steccati, e di sfondare barriere. In tal senso, il termine resistenza rimarrà sempre attuale. Perché sempre attuale resterà l’esigenza di dire no a ogni forma di violenza. Da qualsiasi parte provenga”.

2 aprile 2015

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