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"Noi non dimentichiamo, non dimenticate voi!"

Quei tatuaggi per ricordare l'Olocausto

Menachem Lemberger, Jewish Bravery, Etching 33x25 cm. Collection of the Yad Vashem Art Museum, Jerusalem Gift of the artist

Menachem Lemberger, Jewish Bravery, Etching 33x25 cm. Collection of the Yad Vashem Art Museum, Jerusalem Gift of the artist

Sono arrivata a una conclusione: viviamo in un mondo di simboli. Spuntano dappertutto: sulle strade, sulle case, sui prodotti di tutti i giorni. Riassumono il messaggio e lo rendono immediato. Sono simboli quelli inventati per il riciclaggio, per i servizi pubblici, per le indicazioni stradali.
Oggetti, cose, fatti diventano loro stessi simboli: il ritratto di Che Guevara, il libro rosso di Mao Tse-tung… Simboli che con il loro impatto immediato ci dirigono, ci uniscono o dividono, ci sconvolgono.


Fra questi, per noi ebrei, ci sono la Stella di Davide, la Stella Gialla e la croce uncinata, simboli dell'Olocausto. E il numero tatuato sull'avambraccio dei deportati nei campi di sterminio. Non più una toppa gialla cucita su un vestito che si poteva strappare, ma un "semplice" numero tatuato sulla viva carne. INDELEBILE.
Niente di più umiliante, ad opera di un uomo verso un altro. Di un popolo nei confronti di un altro.


Non più considerati esseri umani, ma numeri, marchiati come bestie mandate al macello.
In tutti gli anni trascorsi dalla fine della seconda Guerra mondiale, ogni tanto al nostro sguardo è capitato di cogliere un numero tatuato su un braccio. Sapevamo che quella persona era stata là, in un campo di sterminio, testimone di cose orribili. Ma ancora viva, anche se segnata sul corpo e nell'anima. Pian piano abbiamo visto sempre meno numeri. Settant'anni sono passati da allora e sono pochi i sopravvissuti ancora in vita che portano impressa sulla pelle la testimonianza dell'orrore di quei luoghi.


Per conservare la memoria, alcuni giovani hanno deciso di compiere un gesto "estremo": si sono fatti tatuare sul braccio il numero che era stato dei genitori, dei nonni, di un familiare. Un gesto lodato da alcuni, biasimato da altri, comunque molto difficile da giudicare. 
Allora fu imposto con la forza, oggi è una scelta personale. C'é chi si oppone perché pensa che non bisogna imprimersi volontariamente questo marchio infame, altri lodano il coraggio e la volontà di perpetuare il ricordo mostrati da questi giovani.
Come sempre non c'é unanimità. 


Ma la discussione, che rimane aperta, mi evoca un fatto di circa vent'anni fa.
Un giorno mi trovai a passare per caso vicino a Beit Wollin, a Givat'aim, sede dell'unica succursale della scuola per l'insegnamento dell'Olocausto di Yad Vashem fuori da Gerusalemme. L'imponente edificio mi incuriosì ed entrai. Proprio in quei giorni erano esposti i lavori dell'artista Menahem Lemberger.
Nato in Polonia nel 1938, perse nei campi di concentramento nazisti entrambi i genitori e nel 1947 fece la sua aliah in Israele.
I disegni, a matita, penna e carboncino, erano tutti caratterizzati da un tratto vivo, schematico e particolare. Una firma complessa, quasi un'opera d'arte essa stessa, completava i lavori.
Ogni quadro obbligava il visitatore a una sosta. Erano disegni che non lasciavano indifferenti, che coinvolgevano.


Uno di questi - lo vedo ancora nitido davanti a me - raffigurava un braccio levato al cielo con la mano chiusa a pugno. A renderlo così forte ed emozionante erano la Stella di Davide tatuata sul braccio e il numero scritto di seguito. Non un numero qualunque, non il numero di uno dei deportati, ma la cifra simbolo: 6000000!
Il gesto di sfida di questo braccio grida "ci avete marcato, ci avete ucciso, ma noi siamo ancora qui". Sul braccio levato davanti ai nostri occhi c'è il numero delle vittime, un messaggio per il mondo: "noi non dimentichiamo, non dimenticate voi!"


Penso che ci sia un nesso fra il pittore che con la sua arte ha voluto tramandare il ricordo dei sei milioni e questi giovani che vivono in un mondo di simboli e hanno scelto di tener vivo il ricordo, tatuando sul proprio corpo i numeri dei sopravissuti.
Menahem Lemberger è scomparso nel 1992, ma il suo quadro continua a perpetuare il ricordo dell'Olocausto.

11 ottobre 2012

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