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Perdonare un nazista di Auschwitz

la storia di Eva Mozes Kor e Oskar Gröning

In una mattina della primavera di quest'anno una signora ottantunenne si presenta a un signore novantaquatrenne pronunciando il proprio nome. Un incontro che non avrebbe niente di sensazionale se lei non fosse Eva Mozes Kor, deportata a dieci anni ad Auschwitz dove fu vittima con la sorella Miriam del dottor Josef Mengele - soprannominato l'Angelo della morte per i suoi folli esperimenti medici - e lui Oskar Gröning, uno dei nazisti che lavoravano nel campo di concentramento. L'incredibile scena si è tenuta nell'aula del tribunale della cittadina tedesca di Lüneburg, dove la signora Mozes Kor, di origini rumene e oggi cittadina americana, è arrivata per riconciliarsi con l'ex SS imputato del processo. Il primo tentativo è andato a vuoto dato che Gröning è sbiancato, non è riuscito a pronunciare una sola parola e se la signora Korová non lo avesse sorretto sarebbe anzi caduto a terra. Superato l'impasse emozionale la signora ci ha riprovato, questa volta con successo - come testimoniato dalla fotografia.

Il processo contro Gröning merita attenzione per vari motivi. Innazitutto perché per ovvi motivi anagrafici potrebbe essere uno degli ultimi contro un criminale nazista. Secondo il tribunale tedesco l'ex SS ha preso indirettamente parte al massacro di 300.000 ebrei e per questo si merita la condanna a 4 anni emanata a suo carico - il che nel suo caso equivale praticamente a un ergastolo. Il caso Gröning è complicato, perché la sua figura non rientra in quella del nazista feroce dell'immaginario collettivo. Laurence Rees, che lo ha intervistato per la BBC, ha dichiarato che "la cosa più inquietante di Gröning è che una persona assolutamente comune." L'ex ufficiale delle SS può essere considerato parzialmente il prodotto dell'approccio fallimentare con cui le potenze vincitrici umiliarono la Germania dopo la sconfitta della prima guerra mondiale preparando il terreno per la rivalsa tedesca. Il padre, grande patriota, divenne membro dell'organizzazione radicale Stahlhelm, nella cui sezione giovanile entrò presto il piccolo Gröning. Da qui poi il passo verso l'Hitlerjugend e successivamente le SS fu breve. Dato che all'epoca dei fatti Gröning lavorava in banca, venne assegnato come contabile ad Auschwitz, dove lavorò per due anni, compreso il periodo tra maggio e luglio del 1944 durante la cosiddetta Aktion Höß - quando furono internati 420.000 ebrei ungheresi. Il suo compito era quello di contare le proprietà sequestrate sulla rampa agli ebrei selezionati per le camere a gas. Non prese mai parte direttamente alle violenze, anzi, una volta si lamentò con i superiori dopo aver visto un soldato zittire un bambino che piangeva spaccandogli la testa. Chiese anche il trasferimento, che tuttavia non gli fu concesso.

Dopo la guerra Gröning non cercò mai di nascondere la propria identità o il suo passato nelle SS. Con il tempo la sua weltanschauung cambiò. Negli anni '80, dopo aver letto un pamphlet neonazista, entrò in polemica con un negazionista al quale rispose che tutto quello che viene detto sull'Olocausto è la pura verità, di cui lui era stato testimone oculare. Da qui iniziò la redazione delle proprie memorie e le numerose interviste per Der Spiegel e la BBC. Gröning non si è neanche mai nascosto dietro il classico "obbedivo agli ordini", ma ha spiegato il proprio comportamento calandolo nel contesto dell'educazione ricevuta: sin da piccolo aveva conosciuto una sola "verità": gli ebrei sono il nemico interno contro cui combattare.

Gröning ha presentato ricorso contro la condanna che reputa ingiusta. "Se devo andare in carcere io, perché allora non il macchinista del treno che portava i prigionieri ad Auschwitz?", chiede retoricamente. La domanda non ha una risposta facile e la storia giudiziaria non ci viene certo incontro. Si stima infatti che l'85% dei nazisti di Auschwitz non siano mai stati puniti. Complessivamente poi dei 120.000 nazisti processati solo 560 sono stati condannati. Gröning è perfettamente conscio del proprio ruolo: "Non v'è alcun dubbio sulla mia responsabilità morale," ha dichiarato in durante il processo, quando ha chiesto pubblicamente perdono. Questo è anche uno dei motivi che ha spinto Eva Mozes Kor, che ad Auschwitz ha perso i genitori e due sorelle più anziane, a incontrarlo per offrirgli il suo perdono. "So che molti mi criticheranno per questo, ma solo col perdono ho trovato la vera libertà," sono le sue parole toccanti. Eva Mozes Kor è nota anche per aver fondato l'organizzazione CANDLES (acronimo di Children of Auschwitz Nazi Deadly Lab Experiments Survivors) il cui scopo, oltre quello di informare sugli orrori dell'eugenetica nazista, è di educare alla forza del perdono.

Andreas Pieralli, giornalista e traduttore

13 ottobre 2015

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