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Ritornare a vivere dopo la Shoah

il ricordo dei bambini di Sciesopoli

I bambini di Sciesopoli

I bambini di Sciesopoli

Per celebrare i 70 anni di Sciesopoli ebraica, quindici degli 800 "bambini" accolti nella struttura tra il 1945 e il 1948 sono tornati a Selvino. Accanto a loro lo storico Marco Cavallarin, da anni impegnato nel difendere la memoria di questa vicenda, insieme ad artisti, autorità e personalità del mondo della cultura. 

Anche Ulianova Radice, direttore di Gariwo, è intervenuta domenica 27 settembre all’Auditorium Centro Congressi di Selvino, ricordando che "la nostra associazione è nata con l'intento che ha animato anche voi con questa iniziativa:  custodire e vivificare la memoria del Bene. I ‘bambini di Sciesopoli’ sono passati dall’inferno al paradiso grazie alla mobilitazione di tante forze - a cominciare dalla popolazione e dalle istituzioni di Selvino - che hanno contribuito alla loro rinascita, quando tutto intorno sembrava perduto. In un certo senso, come noi commemoriamo i Giusti che hanno salvato vite umane, così voi celebrate un ritorno alla vita, in cui è stata riaccesa la speranza. La memoria del Bene deve servire ai nuovi bambini, che domani saranno la nostra classe dirigente, a orientarsi nella scelta della responsabilità. Nuove tragedie si sono presentate sulla scena della Storia dopo la Shoah e ancora oggi affliggono il mondo. Non c’è garanzia per il futuro. Solo gli uomini “buoni”, con la loro consapevolezza, possono fare la differenza. Per questo è importante onorarli e farli diventare memoria condivisa delle nuove generazioni”.

Il 70esimo anniversario di Sciesopoli ebraica è stata l’occasione per presentare mostre, documentari, performance artistiche e musicali, ma soprattutto per ascoltare le testimonianze dei “bambini”.  “Alcuni di loro avevano perso la parola - ricorda Marco Cavallarin - Altri avevano gli incubi, urlavano nella notte. C’era persino chi non riusciva a entrare in lenzuola pulite, abituato com’era a dormire nel lerciume”. 

Tra i "bambini di Sciesopoli" c'è chi ricorda che l'arrivo a Selvino dopo l'esperienza del lager "è stato come passare dall'inferno al paradiso". Qualcuno ha raccontato di essere riuscito a ricongiungersi con la madre, che da Cremona raggiungeva periodicamente la colonia per far visita al figlio ritrovato e portare dolci e viveri. "A Sciesopoli avevo un caro amico - ha ricordato l'ex "bambino" - che aveva perso tutta la sua famiglia durante la guerra, e solo molti anni dopo mi ha confessato di avermi odiato il giorno in cui vide arrivare mia madre a Selvino".

Grazie a Sciesopoli i ragazzi hanno ricominciato a parlare, a studiare, a pensare al futuro. La maggior parte di loro si è poi trasferita in Palestina - seguendo il modello con cui il direttore Moshe Zeiri aveva impostato la struttura - dovendo spesso affrontare altre difficoltà. Basti pensare, infatti, che le navi con a bordo i profughi ebrei venivano spesso bloccate dagli inglesi, che avevano contingentato gli accessi alla Terra Promessa.

Non tutti però aderirono al progetto di Zeiri. Uno dei bambini decise infatti di seguire lo zio, residente a New York. Questa scelta gli costò l'allontanamento immediato dalla colonia, poiché, come sosteneva il tenente, "non si poteva permettere a una mela marcia di contaminare le altre mele del cesto". Quel bambino, oggi anziano, ricorda ancora lo shock di essere stato cacciato all'improvviso, ma è comunque grato a Moshe Zeiri per l'anno trascorso a Sciesopoli.

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Sciesopoli, il lungo viaggio della memoria

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