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​Sono un numero ad Auschwitz

di Hafez Haidar

Una scena del film "La vita è bella"

Una scena del film "La vita è bella"

Freddo, freddo
Gelo, gelo
Nebbia, nebbia
Mi soffocano,
Tolgono il fiato, il respiro.
Paura, paura
Serpeggia.
La Gestapo grida
Adirata, rabbuiata
Con il suono della frusta,
Punta la pistola alla mia testa,
Mi chiama con un numero,
5 7 0 1 2.

Brivido, brivido,
Sono un numero
O per caso ero un uomo,
Un uomo diventato un numero
In più o in meno,
Non importa.

Sono un numero,
Non sento né il freddo
Né la paura,
Sono parte del gelo.
Sono un numero
Tra mille e mille,
Milioni di numeri
Estratto a caso
Con una stella gialla
Sul petto
E una giacca grigia puzzolente
A strisce blu.

Freddo, freddo,
Gelo, gelo,
Sono un ebreo,
Un numero in più o in meno,
A nessuno importa più.

Il treno grigio
Avanza sulle rotaie
Frenetico,
Carica altri numeri da smaltire
Nelle ciminiere.
Presto, presto sparisce
Nella fitta nebbia
Come me.

T U UT, TUUT, Tut, tu t scè scè scè scè Tu t.

È stato il celeberrimo film di Roberto Benigni “La vita è bella” a spingermi a scrivere questa poesia che ho recitato il 31 Gennaio 2016 al Parco delle Groane dinanzi a un gruppo gremito che commemorava il Giorno della Memoria, in ricordo di tutte quelle persone che hanno perso ingiustamente la vita in una delle pagine più nere della storia, l’Olocausto. I mercanti della morte consideravano gli ebrei esseri inferiori, numeri da smaltire nelle camere a gas oppure nei forni crematoi. La loro tragedia ha scosso il cuore di Roberto Benigni, che ha deciso di calarsi nei panni di un ebreo deportato costretto ad allontanarsi dalla moglie, di un papà che deve badare al suo bambino e che riesce a trasformare un calvario in una favola. Ed ecco che la bruttura si trasforma in gioco: chi supererà le prove e raggiungerà mille punti, vincerà il primo premio, un carro armato. La storia si conclude con la tragica uccisione del protagonista e la vincita del carro armato da parte del figlio, che finalmente potrà abbracciare l’incredula madre. Con questo film Roberto Benigni è riuscito a portarci con infinita delicatezza nel cuore di una tragedia immane, facendoci sorridere anche quando avremmo voluto piangere. Molti di noi sono riusciti a trattenere le lacrime fino alla scena finale in cui il bambino, nonostante tutto, veniva incoronato vincitore.

Questo capolavoro del cinema italiano è stato premiato nel corso della 71ª edizione della cerimonia di premiazione degli Oscar, che si è tenuta il 21 marzo 1999 al Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles. Quando la grande attrice Sophia Loren ha urlato: ”L’Oscar va a “Roberto!” e ha alzato la scheda della motivazione facendo commuovere tutti i partecipanti alla serata, Benigni ha compiuto un gesto inconsueto nella storia del grande premio: ha passeggiato sugli schienali delle poltrone della sala, stringendo le mani ai divertiti ospiti e gettando la sala nello scompiglio, poi con un balzo è salito sul palcoscenico abbracciando a lungo Sophia Loren. Poco dopo, ha dichiarato in un inglese imperfetto: ”Devo ringraziare i miei genitori, che mi hanno fatto il regalo più grande, la povertà, e lo farò per tutta la vita.”

Roberto Benigni nacque a Castiglion Fiorentino il 27 ottobre 1952, da Luigi e Isolina Papini, contadini che stentavano a vivere insieme ai loro quattro figli (oltre a Roberto, Bruna, Albertina e Anna). La famiglia, alla ricerca di una vita più dignitosa, decise di trasferirsi a Vergaio, nelle vicinanze di Prato, ma Roberto si spostò prima a Firenze per frequentare il seminario dei gesuiti ( fino all'alluvione del '66 ), poi a Prato, dove proseguì la sua istruzione all'Istituto tecnico commerciale Datini.

Nel 1972 Roberto abbandonò la famiglia per andare a Roma con tre amici, con i quali debuttò al teatro dei Satiri con la commedia "I Burosauri" di Silvano Ambrogi. Dopo una vita difficile segnata da lunghe attese, Benigni iniziò la sua carriera di attore cinematografico nel film “Berlinguer ti voglio bene" di Giuseppe Bertolucci. La pellicola, che subì pesanti critiche e interventi censori, lo rese noto al mondo della critica.

Nel 1978 recitò il ruolo di uno stravagante critico cinematografico nel noto programma televisivo di Renzo Arbore "L'altra domenica", rivelandosi la nuova promessa della comicità italiana. Nel 1979 ricoprì il ruolo di primo protagonista nel film "Chiedo asilo" di Marco Ferreri, a cui seguirono "Il pap'occhio" di Renzo Arbore e "Il minestrone" di Sergio Citti.

L’anno 1983 segnò una svolta nella sua vita: durante le riprese del film “Tu mi turbi”, da lui diretto, conobbe l’attrice Nicoletta Braschi, che diventerà sua moglie il 26 dicembre 1991.

Nell'84 girò con il famoso attore napoletano Massimo Troisi, "Non ci resta che piangere”; nell'88, con Walter Matthau, "Il piccolo diavolo", (film che segna l'inizio della collaborazione del Benigni sceneggiatore con lo scrittore Vincenzo Cerami); nell'89 Federico Fellini, il grande regista di tutti i tempi lo chiamò per il suo ultimo film "La voce della luna"; nel '91 fu la volta di "Johnny Stecchino" e nel '95 de "Il mostro".

Nel 2002 interpretò magistralmente il ruolo del burattino più amato dai bambini, "Pinocchio", e nel 2005 "La tigre e la neve". In questa pellicola Roberto tentò di mostrare al mondo l’importanza della poesia come ponte di pace e di convivenza civile dei popoli anche in un Paese dilaniato e martoriato dalla guerra come l’Iraq.

Non dimentichiamo poi che Benigni ha recitato e commentato i canti della Divina Commedia di Dante Alighieri, partendo dalla piazza Santa Croce di Firenze nell'estate 2006 per approdare dopo un lungo tour nelle piazze e nei teatri più noti in Italia a RaiUno in 14 serate che hanno ottenuto un grande share di ascolto. Roberto ha anche presentato al pubblico la “sua” lettura dei dieci Comandamenti e della Costituzione Italiana riscuotendo il favore e il consenso del pubblico e della critica.

Ci piace chiudere con le parole di Benigni: ”Cercatela ora la felicità. L'hanno data a tutti noi, ma era un regalo così bello da averlo nascosto. E molti non si ricordano dove l'hanno messo. Mettete tutto all'aria. C'è la felicità, è lì. E anche se lei si dimentica di noi, noi dobbiamo ricordarci di lei.”

30 marzo 2016

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