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Weirich, un ”Giusto ritrovato“

intervista ad Alberto Tronchin

Karel Weirich

Karel Weirich

Pubblicato in Italia nel 2007 con il titolo Un giusto ritrovato, il libro di Alberto Tronchin narra la storia poco conosciuta di Karel Weirich, giornalista di origini ceche nato e cresciuto a Roma, dove lavorava come corrispondente per la Santa Sede e per il Messaggero, che salvò durante la guerra decine di ebrei cecoslovacchi. Gariwo, Giardino dei Giusti di Praga ha avuto il piacere di intervistarlo in occasione della prossima presentazione della traduzione ceca, pubblicata dalle Edizioni carmelitane ceche, che si terrà presso l'Istituto Italiano di Cultura di Praga il 26/10/2015.

Alberto, come sei arrivato alla storia di Karel Weirich e perché hai deciso di scrivere questo libro?

Nel 2004 avevo completato gli esami per il corso di laurea in Storia, a Venezia. Uno dei corsi più belli era stato quello di Storia dei Paesi slavi, tenuto dal professor Leoncini. Fu con lui che incominciai ad appassionarmi della Storia dell’Europa centrale. Altrettanto determinante fu poi la signora Helena Weirichová, nipote di Karel Weirich. Come detto, avevo nel 2004 terminato gli esami e stavo pensando ad un tema per la tesi di Laurea. Fu una vera e propria combinazione di eventi. Incontrai la signora Helena tramite sua cognata e mia madre, che si conoscevano. Mi presentai, parlando dei miei studi e spiegandole di essere molto interessato alla storia dei Paesi dell’Europa centrale. Lei mi disse che aveva vari scatoloni di documenti riguardanti la storia di un suo zio giornalista, invitandomi a casa sua per vedere se potevano interessarmi.
Ci accordammo dunque per un incontro. Ricordo che appena cominciai a scartabellare i primi documenti che mi capitavano in mano, mentre la signora mi raccontava quel che Karel Weirich aveva fatto durante la guerra, quasi impallidii. Capii subito che si trattava di una vicenda importante. Feci subito alcune fotocopie di alcune liste di persone aiutate, di varie distinte di versamenti e di qualche lettera scritta da Weirich, andando il giorno successivo dal professor Leoncini. Anche lui rimase parecchio stupito.
Fu così che decisi di elaborare la tesi di Laurea proprio sulla storia di Weirich. Fu un lavoro che mi occupò circa sette mesi. Appena laureatomi, ricevetti poi la proposta dell’Istresco (Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea della Marca trevigiana) di pubblicare la tesi stessa, modificandone tuttavia l’impianto e la forma. L’obiettivo era quello di creare un volume piuttosto agile e ricco di contestualizzazioni adatte anche per chi non masticava molto i libri di storia. Volevano diffondere il libro soprattutto tra i ragazzi delle scuole medie e superiori, nell’ambito di un progetto di sensibilizzazione su alcuni temi legati alla Resistenza e alla seconda guerra mondiale. La rielaborazione mi portò via quasi un altro anno. Il libro uscì poi a inizio 2007, in occasione della Giornata della Memoria, e fu venduto anche come supplemento di un quotidiano locale.
Fui coinvolto in quel periodo in varie conferenze e presentazioni in moltissime scuole. Si trattò di iniziative alle quali i ragazzi risposero davvero bene, con un interesse che francamente mi lasciò sorpreso. Fu un’esperienza assolutamente coinvolgente.

Purtroppo in Europa stanno tornando le ombre di vecchi nazionalismi che speravamo superati dalla storia. In particolare in Repubblica Ceca sta montando un sentimento antislamico e xenofobo generalizzato e pericoloso. Come pensi che il tuo libro su Weirich possa collocarsi in questo momento difficile di tensioni interculturali?

Si, purtroppo in questo periodo stanno tornando in auge forme di nazionalismo che si sperava potessero trovar posto solo tra le pagine dei libri di storia. In Repubblica Ceca – e più in generale anche in altri Paesi, tra cui l’Italia – associate ad un odio etnico-religioso e alla xenofobia. Sicuramente sono atteggiamenti acuiti dai timori che suscitano gli eventi degli ultimi anni e in particolare degli ultimi mesi. Pensiamo a quanto accade in Medio Oriente, alla fuga di persone disperate dal continente Africano e dal teatro di guerra siriano-iracheno. Credo non sia semplice sradicare questi sentimenti. Sono assolutamente convinto che bisognerebbe agire al contempo politicamente e culturalmente. E la vecchia Europa, in questo, dovrebbe tentare di essere più presente, pensando al futuro e ricordandosi del passato. Può sembrare una sorta di captatio benevolentiae nei confronti dei lettori cechi, ma credo che in Masaryk e nel ’68 praghese ci fossero parecchie idee validissime anche oggi per risolvere problemi che, se non affrontati subito e con lo spirito giusto, potrebbero davvero condurre a un punto di non ritorno.
La vicenda di Weirich può servire da esempio positivo. Karel Weirich, Giorgio Perlasca, Raoul Wallenberg, Oskar Schindler o Nicholas Winton, erano persone da un certo punto di vista del tutto “normali”, con la propria occupazione, con la propria vita, le proprie letture e i problemi di ogni giorno. Ma allo stesso tempo si ha l’impressione che fossero assolutamente fuori dal comune, pensando a quanto rischiarono. Figure come queste dovrebbero non esser dunque poste solamente su dei piedistalli, quanto piuttosto entrare nei discorsi della gente. L’esperienza con le scuole e i ragazzi, di cui ho accennato prima, è stata molto istruttiva in tal senso. Bene e Male non erano solo categorie astratte per gli studenti con cui ho discusso. Trovavano una declinazione, al passato ma anche al presente. Ed ecco che Weirich finiva di essere “solo” un giornalista che aveva salvato centinaia di persone di religione ebraica e diventava un monito, un esempio appunto, da calare nelle vicende a noi contemporanee. L’impressione è che i ragazzi ascoltassero per “capire”, non solo per “sapere”.

Quali sono state le reazioni alla tua pubblicazione in Italia?

Quanto appena detto si collega in parte a quest’ultima domanda. Appena uscito il libro furono soprattutto le scuole che mi chiesero a più riprese degli interventi. Fui molto contento di questi appuntamenti. Dopo i primi timori, rimasi sorpreso dall’atteggiamento dei ragazzi, sempre attenti, partecipativi e pronti a interrogare ed interrogarsi.
Tenni poi presentazioni anche in vari Istituti di cultura, Musei, Fondazioni. Ebbi varie recensioni e moltissime richieste di informazioni da parte di studiosi. Quasi ogni anno, in occasione della Giornata della Memoria, venni invitato a parlare di Weirich. Furono tutte esperienze molto interessanti. Che finivano peraltro più o meno sempre con lo stesso interrogativo. Ovvero come mai, secondo me, per così tanti anni nessuno seppe sostanzialmente nulla sulla vicenda di Weirich. Stupore, quindi, per una storia rimasta in soffitta per decenni e che Karel Weirich stesso non volle mai pubblicizzare.

Perché Karel Weirich non è ancora un Giusto tra le Nazioni?

Il motivo principale sta nel tanto tempo trascorso dalla guerra e da quel che fece durante il conflitto. Per diventare Giusto tra le Nazioni, bisogna che la domanda presso Yad Vashem venga presentata da una delle persone salvate. Nel corso del dopoguerra la nipote di Weirich conobbe parecchie di queste persone, ma oggi non ce ne sono più in vita. Tempo fa abbiamo provato a perorare comunque la causa di Karel Weirich tramite il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, ma al momento non abbiamo avuto risultati. Sapevamo che era in corso una discussione presso Yad Vashem per modificare le regole per l’ammissione alla “comunità” dei Giusti. Credo sarebbe corretto. Altrimenti casi come quello di Weirich non potranno mai essere riconosciuti in questo senso.

Pensi che la figura di Weirich possa essere interpretata come un contraltare alla figura criticata di papa Pio XII oppure questa bella storia di collaborazione interreligiosa tra cristiani ed ebrei si è svolta sotto il pieno benestare e appoggio della Santa sede?

Si tratta di una domanda abbastanza complicata. La Santa Sede fu sicuramente a conoscenza dell’attività di Weirich. Ciò è dimostrato dalla corrispondenza con membri influenti del Vaticano (Montini, in primis). L’impressione è che si sapesse addirittura in dettaglio quel che Weirich faceva.
A livello generale – anche alla luce di altri studi e ricerche su questo argomento – mi vien da pensare che la Santa Sede fosse al corrente di quanto facevano tutti i propri membri e collaboratori durante il conflitto nei confronti delle persone di religione ebraica, e che queste attività siano state appoggiate e favorite. Non ci fu tuttavia – e su questo aspetto si sono concentrate le critiche – una presa di posizione chiara e forte da parte del Pontefice nei confronti del nazismo e della persecuzione ebraica. Il papa di fatto non si espose mai. Temeva probabilmente di scatenare una reazione tedesca peggiore rispetto a quanto i nazisti stavano già facendo. O eventuali attacchi anche nei confronti del Vaticano stesso. Credo sia difficile giudicare questa situazione. Direi comunque, tornando alla domanda che mi ponevi, che si possa parlare senz’altro di collaborazione.

Durante le tue ricerche sei venuto a conoscenza di altre storie simili, mi riferisco soprattutto all’intervento attivo di strutture ecclesiastiche o vicine ad esse a favore degli ebrei?

Si. In vari testi (ad esempio ne “Il rifugio precario” di K. Voigt) si parla di un aiuto diffuso da parte di enti ecclesiastici o talvolta di singoli religiosi nei confronti delle persone di religione ebraica. Moltissimi ebrei vennero nascosti in conventi e monasteri, a Roma e dintorni. Tra la documentazione di Weirich ho trovato fototessere con le indicazioni per i falsari, che prevedevano indirizzi corrispondenti ad istituti religiosi, all’interno dei quali queste persone dovevano essere accolte. Come dicevo, l’impressione è che la collaborazione fosse molto stretta, importante e discreta. Weirich stesso riconobbe questi meriti nel dopoguerra. Quando gli vennero proposti riconoscimenti per la sua attività assistenziale durante il conflitto, rispondeva sempre – come mi ha spiegato la nipote – che prima di lui dovevano essere premiati i frati e i preti che in silenzio avevano nascosto le persone di religione ebraica nei loro istituti, rischiando la vita e senza aver mai voluto nulla in cambio.

Come Gariwo CZ abbiamo in programma di dedicare un albero a Weirich nel futuro Giardino dei Giusti di Praga. Sai di altri luoghi dove la sua memoria è ricordata in modo ufficiale?

Nel 2012 il Comune di Padova ha voluto piantare un albero nel proprio Giardino dei Giusti. Con la signora Weirichova e il professor Leoncini, siamo intervenuti durante la cerimonia in cui è stato interrato un ciliegio e scoperta una lapide commemorativa. Si è trattato di una giornata molto bella ed emozionante. È stata la prima volta – e finora l’unica – in cui Weirich è stato ricordato in modo ufficiale.

Ti stai occupando ancora di storie simili? Ci puoi nominare brevemente altre figure poco note che si meritano di essere ricordate per il loro impegno a favore della dignità umana e della libertà?

Dopo aver scoperto la storia di Weirich mi sono occupato soprattutto di studiare la storia cecoslovacca del secondo dopoguerra e il percorso che condusse all’89 a Praga. Ho continuato comunque a seguire anche le tematiche legate all’assistenzialismo nei confronti delle persone di religione ebraica durante la guerra, parlando ancora in varie occasioni di Weirich in alcuni convegni e tavole rotonde. Vorrei ricordare una figura, ancora relativamente poco nota in Europa, che si impegnò – e si impegna, essendo in vita e ancora molto attivo – per il rispetto dei diritti umani: Ragip Zarakolu. Si tratta di un intellettuale turco, nato in una cittadina nei pressi di Istanbul nel ’48. Incarcerato oltre 40 volte nel suo Paese per i suoi articoli e testi sulla violazione dei diritti umani in Turchia e il genocidio armeno, lotta in particolare per costruire un dialogo tra turchi, armeni e curdi. Ho potuto conoscere la sua figura a Padova nel 2012, quando venne premiato come Giusto dalla città assieme a Karel Weirich.

Andreas Pieralli, giornalista e traduttore

17 settembre 2015

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