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Per non dimenticare i crimini del comunismo

la lezione di Perm-36

La scrittice  Susanne Sternthal ha visitato Perm-36, il gulag segreto di Stalin che continuò la sua attività fino al 1989. Oggi il campo è diventato un museo che, a pochi chilometri dalla città di Perm detta "la Bilbao della Russia" per le sue soluzioni avveniristiche, presenta un modo coraggioso di ripensare la storia. 

La Sternthal, che ha dedicato un libro alle riforme di Gorbačëv, ha raccolto le testimonianze dei fondatori del Museo Perm-36: Sergei Kovalyov, Balys Gajauskas, e il Presidente Victor Shmyrov. Alcuni dei loro compagni sono morti, a volte uccisi da criminali comuni che erano stati collocati nella loro cella di "nemici del popolo". 


Questi studiosi, che sono anche attivisti dei diritti umani, lamentano che dopo gli anni '90 il mondo ha fatto dei passi indietro nella coscienza del male estremo rappresentato dai gulag. Per esempio, scrive l'autrice del reportage, "quando il Parlamento Europeo ha richiamato i Paesi membri e altri Paesi europei, ad aprile 2009, a osservare la Giornata Europea di ricordo delle Vittime dello Stalinismo e del Nazismo che cade il 23 agosto, il settantesimo anniversario del patto di non aggressione Ribbentrop-Molotov, la Russia ha risposto con l'annuncio dell'istituzione della “commissione presidenziale della Federazione Russa per contrastare i tentativi di falsificare la storia a detrimento degli interessi russi”. 


Negli ultimi anni, invece di una "Norimberga" dei crimini comunisti auspicata da Shmyrov e dai suoi compagni, si è rivalutato Stalin e  ci si è dimenticati che l'URSS ha mantenuto in vita un intero universo concentrazionario, quello dei gulag, per privare le persone dei più elementari diritti, compreso quello di comunicare. 


Ricorda la Sternthal: "Per trasmettere le informazioni i prigionieri scrivevano con una grafia minuscola su carta molto sottile e trasparente che veniva poi arrotolata come una cartuccia, legata con un nastrino, avvolta da strati di polietilene, sigillata con un fiammifero e quindi ingoiata. Se veniva espulsa troppo presto veniva lavata, veniva rimosso uno strato di polietilene e si ingoiava di nuovo la cartuccia. In questo modo le informazioni sarebbero state passate ai familiari in visita. Le guardie erano sempre a caccia di questi messaggi. Kovalyov non ne era in possesso, anche se nel suo periodo di detenzione riuscì a inviare diverse lettere in Occidente in questo modo".


Leggi l'intero reportage nel box a fondo pagina.

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