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Negazionismo, prevenire o reprimere?

di Marcello Flores

È triste dover ritornare ancora una volta sul reato di negazionismo, ma l’approvazione recente alla Camera, dopo che il Senato aveva già approvato dal canto suo una versione rivisitata del decreto che da anni gira tra le due sedi parlamentari, impone un commento. Che non può che essere totalmente negativo

Sembra quasi che non si sia voluto fare tesoro delle discussioni che da anni hanno coinvolto storici e giuristi, non si sia ascoltato il parere e la testimonianza degli storici invitati alla Commissione Giustizia al Senato, ma si sia preferito accogliere la pressione della comunità ebraica e di tutti coloro che ritengono un dovere morale protestare contro la circolazione di posizioni aberranti e pericolose.
Quello che i promotori della legge non sembrano capire è che proprio questa legge crea una serie di pericoli di non poco conto, spingendo la magistratura a intervenire nel giudizio storico su temi e questioni che da sempre dividono gli stessi storici o gli stessi giuristi.

Questa legge, infatti, non introduce una pena (che varia da 2 a 6 anni, ben più di quanto accade negli altri paesi europei) solamente per chi nega la Shoah – che è l’oggetto della maggior parte delle leggi antinegazioniste europee – ma per chiunque fonda la propria istigazione, propaganda e incitamento di tipo razzista “in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra”, così come questi crimini sono definiti dallo statuto della Corte penale internazionale.

Se si fosse fatto riferimento alle “sentenze” dei tribunali internazionali (o anche nazionali, volendo), la negazione di genocidi o crimini di guerra o contro l’umanità avrebbe avuto una chiara indicazione, lasciando per il momento in sospeso la questione della libertà d’espressione, della ricerca e giudizio storico, dell’aberrazione di imporre verità di Stato che sono proprie solamente di regimi totalitari. Senza quel richiamo, e riferendosi invece allo “statuto” della Corte penale internazionale, quegli articoli compositi, complessi, in cui sono indicate una quantità di fattispecie criminose oggi riconducibili al genocidio o al crimine di guerra o contro l’umanità, rischiano di potere essere interpretati da qualsiasi magistrato in un modo arbitrario e al di fuori di una logica non solo storica, ma anche processuale. Nelle ultime sentenze dei tribunali internazionali vi sono stati spesso dei giudizi di dissenso di minoranza, a testimonianza che nemmeno tra quei giudici che da anni si occupano di questi crimini si riesce sempre a stabilire e a concordare cosa sia stato davvero un crimine di guerra o un genocidio, un crimine contro l’umanità o un “semplice” massacro.

Prendiamo i crimini di guerra: secondo la definizione dello Statuto, per quanto possa sembrare a uno studioso di questo settore come me che non è però un giurista ma uno storico, dovrebbero essere considerati crimini di guerra una quantità incredibile di azioni, dai bombardamenti sulle città inglesi o tedesche o giapponesi nella Seconda guerra mondiale a quelli nel Vietnam e via fino a molti di quelli commessi in Iraq e Afghanistan, dove sono stati civili le vittime innocenti di questi “danni collaterali”. Sappiamo anche che in molti – giuristi, storici, giornalisti, persone qualsiasi – ritengono che solo alcuni di questi siano stati crimini di guerra e non altri: toccherà a un qualsiasi giudice, probabilmente digiuno di storia, stabilire se Hiroshima e Nagasaki sono stati crimini di guerra e quindi non si può negarlo, se lo sono stati i bombardamenti col gas in Etiopia da parte dell’esercito italiano, se lo sono stati i bombardamenti israeliani a Gaza o quelli della Nato su Belgrado? Questo è ciò che questa legge permette, anche se possiamo tranquillamente ritenere che nessun giudice dotato di buon senso si avventurerà su questa china e si limiterà probabilmente, solo in qualche caso, a sanzionare la negazione della Shoah, creando immediatamente polemiche sul mancato utilizzo della legge per tutti gli altri crimini di genocidio, di guerra e contro l’umanità.

Da parte di qualcuno si sarebbe voluto, in effetti, che solo la Shoah fosse oggetto della legge, come avviene in molti Paesi europei; anche se non si possono dimenticare le leggi antinegazioniste contro i crimini del comunismo in alcuni Paesi ex-comunisti o quelle relative al genocidio armeno, in cui non è mai chiaro se a essere oggetto della repressione penale sia la negazione dell’uso del termine genocidio o la negazione del fatto storico avvenuto, e cioè dei massacri che hanno annientato oltre un milione e duecentomila armeni tra il 1915 e 1916.

Se i parlamentari che si sono impegnati tanto a lungo e così numerosi alla preparazione di una legge così ambigua, confusa e arbitraria che ha ricevuto una critica vastissima sia da parte di giuristi che di storici, si fossero impegnati a cercare di capire quali misure di tipo culturale, educativo, sociale sarebbero state opportune per cercare di limitare la diffusione del negazionismo soprattutto tra certi gruppi giovanili, quali esperienze in positivo si sarebbero potute fare nelle scuole o nei quartieri, attraverso la radio e la televisione, ne sarebbe venuto fuori probabilmente un elenco ricchissimo di potenzialità di contenimento reale al fenomeno del negazionismo. Con questa legge penale la società (in realtà la politica che si arroga di interpretare la società) si dovrebbe sentire rassicurata, perché c’è sempre il carcere pronto per chi dovesse infrangere la legge, e quindi autorizzata a non pensare più alle uniche e vere strategie di contrasto al negazionismo che potrebbero avere la possibilità di successo.

Se mai qualche magistrato dovesse prendere alla lettera questa legge e decidesse di incriminare qualcuno, si può stare certi che la battaglia – processuale, mediatica – si focalizzerebbe soprattutto sulla libertà di espressione, riuscendo così a dare ai negazionisti in questione la possibilità di ergersi a paladini del libero pensiero soprattutto se in questione dovessero esserci crimini su cui – e sono molti più di quanto si possa presumere – non c’è concordanza neppure tra esperti e studiosi.

Nel caso del negazionismo, più ancora che in tantissimi altri casi, la prevenzione dovrebbe prendere il sopravvento sulla repressione: avendo scelto la strada penale, invece, si abbandona di fatto qualsiasi strategia preventiva sul terreno dell’educazione, della cultura, della socializzazione. E questo è il guasto peggiore che questa legge difficilmente applicabile ha introdotto nella nostra vita sociale.

Marcello Flores

Analisi di Marcello Flores, storico

15 giugno 2016

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