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Rivalità di memorie

i monumenti rischiano di riaccendere le divisioni nei Balcani

Negli ultimi due decenni, nella ex Jugoslavia sono sorti centinaia, forse migliaia, di memoriali.

Un’indagine del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) ha stabilito che i governi della regione non hanno il controllo sulla costruzione di questi monumenti, che spesso vengono eretti dalle associazioni delle vittime, da privati o da ex combattenti.

La particolarità della ricerca è data dall’analisi del costo - oltre che economico - anche sociale di questi memoriali, la cui presenza rinforza le divisioni etniche che portarono al conflitto. I monumenti solitamente ricordano soldati caduti, vittime del conflitto, eroi, ma in questo caso anche uomini considerati criminali di guerra da altri gruppi etnici.
Si propone cioè una “storia personalizzata”, divisiva e pericolosa poiché rischia di esacerbare tensioni latenti. E in un luogo delicato come l’area balcanica, questo fenomeno è un forte ostacolo a una già difficile riconciliazione.

Ciò è vero soprattutto in Bosnia, Paese costituzionalmente diviso in tre componenti etniche anche a livello governativo, ed è aggravato dal fatto che non è mai stata ristabilita - neanche dai tribunali - la verità storica, dando così inizio a una “rivalità” di memorie sull’origine del conflitto e sul numero delle vittime.

Nicolas Moll, coordinatore della ricerca a Sarajevo, sostiene che anche in Europa la costruzione dei monumenti è stata motivo di controversie, ma che il problema è ancora più grave nei Paesi della ex Jugoslavia, perché la memoria delle recenti guerre è ancora vivida. “La questione principale - ha dichiarato - non è tanto nei monumenti, quanto piuttosto nel contesto sociopolitico in cui questi vengono costruiti, che crea divisioni tra gruppi politici o etnici. Questo è ancora più vero quando, come nei Balcani, i monumenti sono usati per insultare l’altra parte”.

La divisione etnica, quindi, è fissata nella pietra dei monumenti. In una regione in cui la Storia è ancora una disputa aperta, i memoriali sono un potente simbolo dei conflitti passati. Il salvatore di una parte è l’aggressore di un’altra, la vittoria di uno schieramento simbolizza pulizia etnica per quello opposto.

Il documento del BIRN ha rilevato che in alcune città i monumenti sono stati distrutti per denigrare le vittime di altri gruppi etnici, mentre tra tutti i memoriali - secondo Goran Simic, docente di giustizia transnazionale - se ne contano forse solo 5 che non offendono nessuno.

Emblematico è il caso di Prijedor, città bosniaca appartenente alla Repubblica Srpska: il comune ha diversi monumenti in onore dei soldati del Generale Radko Mladic, responsabile del massacro di Srebrenica e ora sotto processo con l’accusa di genocidio al Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia. Le autorità serbe, tuttavia, non permettono alle famiglie delle vittime bosgnacche di costruire un memoriale in onore delle vittime civili. “Vogliamo un monumento per tutte le vittime civili - ha dichiarato Mirsad Duratovic, membro dell’associazione degli ex prigionieri di guerra - ma nonostante questo ci viene negato il permesso da anni”.

La grande maggioranza dei monumenti nelle società contemporanee, non solo nei Balcani, ricorda un solo gruppo nazionale, sociale, etnico, politico. Questo però diventa un problema se la cultura della memoria resta esclusiva e ricorda unicamente gli eroi e le vittime del proprio gruppo di appartenenza.

I memoriali possono aiutare la riconciliazione? Secondo Nicolas Moll: “La maggioranza dei monumenti, non solo nei Balcani, non servono primariamente a promuovere la riconciliazione, ma a promuovere il ricordo di un singolo gruppo. Tuttavia i memoriali possono rendere il processo di riconciliazione e di costruzione della pace un po’ meno difficile”.

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