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Il Museo Casa del Terrore di Budapest

intervista ai responsabili

Nell'incontro Sharing and learning remembrance organizzato a Potsdam il 6 maggio scorso da Mostar Friedensprojekt, abbiamo conosciuto i responsabili del Museo Casa del Terrore di Budapest, che informa sulla storia dell'Ungheria sotto i regimi nazista e comunista.

Come si é trasformata la memoria dell’Olocausto dopo il cambiamento del regime?

Per alcuni anni subito dopo la seconda guerra mondiale l’Olocausto ebbe grande rilevanza. Sono stati pubblicati saggi investigativi e i criminali di guerra sono stati severamente puniti. Subito dopo che i comunisti presero in mano il potere invece, dalla fine degli anni ’40 si poté sentir parlare solo delle vittime del "fascismo" sia nei documenti ufficiali che nella letteratura storica. Della responsabilitá ungherese si cominció parlare di nuovo solo dopo gli anni ’80, anche dopo il crollo del regime comunista. Nel 1999 per iniziativa del partito FIDESZ, – che é al governo anche in questo momento – inizialmente é stato creata una fondazione pubblica per l’istituzione di un museo sull’Olocausto, nel 2000 il parlamento istituì per legge il giorno della memoria delle vittime dell’ Olocausto. Nel 2004 fu aperta la mostra permanente del Centro di Documentazione dell’Olocausto, e nello stesso anno anche il Museo della Casa del Terrore (Terror Háza Múzeum) creó il primo Museo dell’Olocausto fuori Budapest. Questo gesto ebbe ancora piú importanza, dato che la maggioranza delle vittime ungheresi della Shoah erano di fuori Budapest, dalla comunitá ebraica ungherese più grande.

Quante vittime fece la dittatura comunista in Ungheria?

Subito dopo l’entrata delle truppe sovietiche cominció l’intimidazone sistematica del popolo ungherese. Secondo valutazioni attendibili almeno 700 000 civili e prigionieri di guerra furono deportati ai campi di lavoro forzato del GULAG e del GUPVI, di cui 300 000 non fecero piú ritorno. Inoltre 70 000 persone morirono giá in territorio ungherese, nei campi di raccolta. Le deportazioni cominciarono nel 1944 e continuarono ancora per anni. Parallelamente a questo gli organi sotto il controllo comunista anche in Ungheria cominciarono fare i conti con i presunti o reali oppositori politici, ossia con i vari settori scelti della sociatá ungherese. Neanche oggi sappiamo precisamente quante persone morirono a causa all’attivitá delle unitá dell’autoritá contemporanea, ossia poi nei centri della polizia politica, e nei campi di lavoro forzato in Ungheria. Tante persone poterono tornare a casa solo per morire. Probabilmente si tratta di più di mille persone. Fino al 1956 vennero giustiziate 485 persone per motivi politici. Dei giustiziati solo una piccola parte furono criminali di guerra, però questi dati richiedono molta attenzione: tra loro ci furono molte persone che vennero stigmatizzate con questa accusa senza aver commesso crimini. Oltre ai casi politici, in tanti casi i giustiziati vennero detti deliquenti comuni. Appartengono alle vittime ungheresi del comunismo anche i 20 000 ungheresi, e gli oltre 10.000 tedeschi e jugoslavi massacrati nel 1944 dai partigiani slavi comunisti al Délvidék (all’epoca parte dell’Ungheria, oggi si chiama Vojvodina, oggi della Serbia).

Le vittime della Rivolta del 1956 approsimativamente sono fra 2500 e 3000 persone, incluse le vittime dei combattimenti, dei fuochi di fila, e della vendetta. A base dei giudizi di tribunale furono condannati a morte 229 persone per la partecipazione alla Rivolta.

Determinando le vittime ungheresi del comunismo non sarebbe giusto parlare solo delle vittime in senso stretto. Su base etnica nell’anno 1946 furono sfollati 200 000 svevi (ungheresi di origine tedesco) dal paese. Inoltre, fra il 1945 e il 1956 oltre 200 000 persone lasciarono il Paese, e poi subito dopo la Rivolta di 1956 altre 200 000 persone, sempre per motivi politici.

Durante i decenni del regime di János Kádár altre 100 000 persone espatriarono. Gli ultimi campi di profughi per ungheresi furono chiusi in Austria nel 1989. All’inizio degli anni ’50, ogni tre adulti avevano un processo pendente. Durante i decenni della dittatura piú dieci mila persone furono imprigionate per motivi politici, e piú di 10.000 furono cacciate dalle loro case per gli stessi motivi. Il numero dei piccoli proprietari e dei contadini privati dai loro beni, degli impiegati e degli intellettuali resi nullatenenti, dei „nemici di classe” preclusi da ogni opportunitá puó essere determinato in piú di un milione. Dopo tutto ció non é per caso che negli anni ’80 il numero dei suicidi in Ungheria fu il piú alto d’Europa.

(Foto del Museo)

1 giugno 2011

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