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In onore di Kazimierz, Peter e Roman

uccisi dalla polizia nelle rivolte contro il comunismo

Oggi le piccole vittime del comunismo sono ricordate da una serie speciale di francobolli (foto di Carolina Figini per Gariwo)

Oggi le piccole vittime del comunismo sono ricordate da una serie speciale di francobolli (foto di Carolina Figini per Gariwo)

La cosa che più mi ha colpito delle vestigia dei totalitarismi del XX secolo in Polonia è la sorte dei bambini: quelli salvati da Irena Sendler, quelli uccisi ad Auschwitz, il piccolo insurrezionista immortalato da una statua a Varsavia e i minori vittime del comunismo

La città di Poznán oltre che la prima capitale della Polonia è un importante centro della Slesia, con molte fabbriche. I comunisti avevano trasformato la ditta dell’imprenditore Cegielski, una sorta di Agnelli polacco, in “fabbrica Stalin”, i cui operai lavoravano alla produzione di acciaio e beni durevoli, come i tram cittadini. Mentre Cegielski era rispettato, la direzione della Fabbrica Stalin veniva vista come qualcosa di pomposo e ideologizzato che stampava a tutto andare manifesti propagandistici su quel che faceva Chang Kai Scek a Formosa mentre gli operai del posto soffrivano di bassi salari, obiettivi di produzione irrealistici, pratiche umilianti sul posto di lavoro e inflazione. 

Mentre i capi del Partito Comunista affermavano di difendere il mondo dall’imperialismo americano, la famiglia media di Poznán viveva in dignitosa povertà e nel terrore, come attesta un eloquente manifesto esposto nel museo della rivolta operaia del 1956, dove si vede un omino verde di paura, tutto tremante, con la scritta “panico”. 

Queste testimonianze popolari del clima che si viveva nei Paesi satelliti di Mosca, dal sapore satirico e molto più affidabili di tanti discorsi politici, sono molto frequenti nei musei di storia del comunismo che si trovano in tutta l’Europa centrale e orientale e cominciano ormai a vedersi anche in Russia, seppure tra mille cautele (l’anno scorso ho visto un museo dedicato al jazzista dissidente Vasily Aksenov in una casa di Kazan, senza insegna sulla strada).

Il museo di Poznán racconta che gli operai della città, il 28 giugno 1956, entrarono in agitazione, avviando quelli che poi sarebbero stati i grandi sommovimenti dell’Est europeo, da Budapest nello stesso anno a Danzica negli anni ’80, passando per Praga nel 1968 e le agitazioni nelle Repubbliche baltiche e in altri territori occupati dai sovietici. Queste rivolte hanno un minimo comun denominatore, a volte legato alla religione, nel caso polacco cattolica: erano tappe di una lotta contro un regime falso, che aveva promesso di liberare le masse e invece praticava la violenza e la menzogna. Il regime non era “internazionalista” perché faceva differenze tra popolo russo e popoli satelliti, e a dire il vero stampigliava anche “religione ebraica” sui passaporti; combatteva guerre di conquista soggiogando altri popoli; non era “futura umanità” perché aveva persone di serie a e di serie b; tradiva in poche parole tutti gli ideali che vantava di poter realizzare. “Vivere nella verità” non a caso era uno slogan tipico dei dissidenti. 

A Poznán il grido era “wolnosc i chleb”, “libertà e pane”. I ribelli costrinsero il regime a liberare il cardinale Wyszinski, primate della Chiesa cattolica polacca ai domiciliari, e il futuro leader “riformatore” Wladislaw Gomułka. Ottennero rettifiche dei turni di lavoro e vissero una “festa di libertà”, in cui poterono esprimersi e cementarono i legami tra di loro che il totalitarismo minacciava di continuo. Di questo però ha già raccontato su Gariwo Annalia Guglielmi, nostra responsabile delle Relazioni Internazionali nonché insignita della Croce al merito da parte del Governo polacco, nel nostro servizio per il ventennale della caduta del Muro di Berlino nel 2009. 


Io vorrei raccontare di alcuni minorenni che rimasero vittime della reazione comunista scatenatasi nell'ottobre 1956. Uno è Kazimierz Dutkiewicz, morto nella sanguinosa repressione della rivolta a soli 16 anni. Era un giovane elettricista, figlio di un uomo che aveva combattuto contro i tedeschi a Monte Cassino, e fu colpito alla testa da un proiettile della polizia. Un altro è Roman, un ragazzo ancora più piccolo, che oggi è sui francobolli delle Poste polacche. 
Di solito si dice che la differenza tra comunismo e nazismo era che il primo uccideva soprattutto adulti, che avevano già una “colpa” di qualche tipo, anche se solo sospettata dal regime, mentre il nazismo uccideva per il sangue. Senza nulla togliere all’inescusabile colpa nazista, si tratta di un argomento discutibile e, ancora una volta, falso. Infatti il regime comunista non esitava a colpire l’infanzia. Nel regime sovietico furono uccisi e imprigionati anche molti minorenni. 

Non so che messaggio possa provenire da questa storia. È ancora recente, con ferite fresche. Di certo si può notare una forte resistenza morale alle storture del regime comunista, testimoniata dal coraggio civile degli operai e dei giovanissimi e dalle espressioni artistiche del periodo (un quadro secondo me bellissimo mostra delle specie di tacchini rossi, per ideologia o per il sangue, che incedono impettiti sullo sfondo di una fabbrica scura. Hanno un’espressione spavalda, forse perché credono di essere gli unici ad aver capito tutto, ma il loro corpo è formato da cerchi di metallo, la produzione degli operai che essi opprimevano). 
A differenza del nazismo, il comunismo non è stato completamente sconfessato per ragioni storiche ed economiche: ad esempio, il ruolo dei comunisti nella Resistenza dei vari Stati europei e il fatto che i Paesi centro-orientali si sono visti conteggiare il lascito infrastrutturale dei vecchi regimi (come gli ambulatori medici, le scuole e le università) come risorse valide ai fini dell’adesione all’Unione Europea


Un giudizio definitivo su quelle vicende ancora non è stato formulato. Ma di certo la democrazia dovrebbe distinguersi dalle dittature più feroci anche in termini di futuro offerto alle nuove generazioni, che vanno rispettate anche nelle loro manifestazioni di dissenso e a cui vanno offerte opportunità reali di benessere e di autorealizzazione. Spero che si possano onorare questi ragazzi costruendo un futuro migliore per i nostri giovani, che in questo momento soffrono di un’elevata disoccupazione e di mancanza di punti di riferimento. 

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Museo della rivolta di Poznań del 1956

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