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L'espulsione dai Sudeti

​Migliora la consapevolezza storica dei cechi sull’espulsione dei tedeschi

All’alba della fine della seconda guerra mondiale, la Cecoslovacchia espulse circa 3 milioni dei propri cittadini di etnia tedesca dalla regione dei Sudeti, ovvero dalle terre al confine con Germania e Austria che abitavano dal tardo Medioevo. Una tragedia che costò 20-30.000 vittime accertate, e un numero di vittime complessive che, a detta delle organizzazioni dei tedeschi dei Sudeti, potrebbe arrivare addirittura a 270.000, e della quale abbiamo scritto più volte in passato. Se, infatti, appare relativamente facile conservare e coltivare la memoria storica sui “peccati” dei vinti, ovvero sui soprusi, i genocidi e i crimini contro l’umanità commessi dagli sconfitti, più complicato è parlare apertamente dei peccati dei vincitori e questo nonostante i quasi 80 anni che ci separano dall’ultimo conflitto mondiale.

Le generazioni che hanno vissuto in prima persona gli orrori della guerra o quelle che ne conservano un ricordo familiare ancora più o meno vivo tendono a vedere in questi peccati una legittima rivalsa per le sofferenze subite a causa dei vinti. Soprattutto in paesi come la Repubblica Ceca dove, a differenza di quanto avvenuto in Germania con il nazismo, complice anche l’omertà storica imposta dal regime comunista, non ha mai avuto luogo un vero e proprio processo di riconoscimento, accettazione e catarsi del male “domestico”, ovvero quello perpetrato dai vincitori sui vinti quando ormai la guerra era finita. Un male non dissimile da una sorta di vendetta collettiva.

Ma lo studio della Storia ci insegna che soltanto una memoria storica reciprocamente accettata e riconosciuta può porre le basi per una convivenza pacifica e duratura tra le due parti del conflitto. Questo perché, al contrario, una memoria per così dire “unilaterale” rischia di conservare focolai nascosti di tensioni che si alimentano ancora dei vecchi rancori irrisolti. Raramente, infatti, assistiamo nelle vicende umane ad una colpa imputabile ad una sola parte. Anche se nel caso del nazismo possiamo essere certi di chi fossero i carnefici e le vittime, tale certezza vacilla quando andiamo a cercare di capire in modo oggettivo e spassionato le cause che hanno scatenato la guerra. Ed è proprio la consapevolezza più o meno conscia del “non può esser stata solo colpa nostra” che può mantenere calde le braci di potenziali conflitti futuri quando l’espiazione sulla pubblica piazza della memoria storia non sia stata reciproca.

In quest’ottica, quindi, accogliamo con piacere la recente notizia secondo cui diminuisce il numero di cechi che approvano l’espulsione dei tedeschi dei Sudeti. Se i dati del Centro per i sondaggi sull’opinione pubblica del 2002 parlavano di un 64% di cittadini cechi che riteneva fosse stato giusto espellere dal paese i cittadini cecoslovacchi di etnia tedesca confiscandone i beni, lo scorso novembre erano già solo il 37%. Oggi un ceco su quattro ritiene che l’espulsione sia stata ingiusta e il 9% pensa che sia anche necessario scusarsi mentre un 4% vedrebbe come legittimi anche il risarcimento e la restituzione delle proprietà confiscate. D’altra parte cresce anche la quota di chi dichiara di non aver alcuna opinione in merito o di non interessarsene affatto. Il miglioramento rispetto alla stessa indagine condotta due anni prima non è consistente (nel 2013 erano il 40%), significativo semmai è il trend che si mantiene positivo nonostante l’atmosfera di strisciante populismo e nazionalismo che sta nuovamente e pericolosamente contagiando l’Europa centrale, come dimostrano le preoccupanti derive illiberali di Polonia e Ungheria.

Andreas Pieralli, giornalista e traduttore

16 gennaio 2017

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