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Presidenziali iraniane: un voto pilotato

di Clément Therme

Di seguito presentiamo, tradotta in italiano, l'introduzione dello speciale di Le Monde sulle presidenziali iraniane del 2013. 

Il 14 giugno i cittadini della Repubblica Islamica dell’Iran andranno alle urne dopo otto anni di presidenza di Mahmoud Ahmadinejad

Il bilancio del presidente uscente è al centro dei dibattiti e la sua uscita di scena è, a qualche giorno dallo scrutinio, la sola certezza di queste elezioni. Nonostante la preminenza istituzionale della Guida Suprema della rivoluzione islamica, l’ayatollah Alì Khamenei, la fine del secondo mandato del presidente Ahmadinejad è un evento di primaria importanza nei 34 anni di storia della Repubblica islamica. 

In effetti, il presidente uscente, per via delle sue arringhe contro Israele, la sua retorica populista, le sue trasgressioni riguardo ai principali dogmi ideologici lasciati in eredità dall’ayatollah Khomeini (1902-1989) e la sua personalità divisiva, ha contribuito al degrado dell’immagine dell’Iran sulla scena mondiale e alla perdita di credibilità della figura presidenziale sul piano politico. Per gli iraniani la sua presidenza resterà principalmente legata al ritorno della recessione (3% di calo del PIL nell’anno 2012-2013) per la prima volta dalla fine del conflitto Iran-Iraq (1980-1988). 

Inoltre, la sua rielezione, a giugno 2009, ha provocato la più grave crisi politica internazionale che la Repubblica islamica abbia conosciuto dalla sua fondazione, con una situazione inedita: la contestazione dei risultati della consultazione da parte degli oppositori interni, i sostenitori dei candidati sconfitti Mehdi Karroubi e Mir Hossein Moussavi

Infine, nonostante le riforme economiche accolte positivamente dal Fondo Monetario Internazionale, come il programma di soppressione dei sussidi statali ai prodotti di primaria necessità, sostituiti dal 2010 da un’allocazione mensile, le disuguaglianze economiche in seno alla popolazione si sono inasprite durante gli otto anni della sua presidenza. 

Sul piano internazionale, la conferenza sull’Olocausto organizzata a Teheran nel dicembre 2006 segna un punto di svolta nel confronto con l’Occidente. L’anno successivo, per la prima volta nella sua storia, l’Iran, Paese fondatore della Società delle Nazioni, si ritrova oggetto delle sanzioni internazionali contro il proprio programma nucleare che non ne impediranno la riuscita, perché il presidente le rifiuta totalmente. Lui paragona allora il suo programma nucleare a “un treno senza freni”. Infine, la sua strategia internazionale, che si può definire un “romanticismo rivoluzionario”, si fonda sul rafforzamento dei legami con i Paesi non allineati, soprattutto dei continenti africano e sudamericano. Questa politica estera non ha permesso all’Iran di trasformarsi davvero in un Paese emergente. Pertanto, il primo nodo dell’elezione presidenziale è l’uscita dal periodo Ahmadinejad. 

Gli otto candidati selezionati dal Consiglio dei guardiani si presentano quindi come figure di rottura

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