Il presidente sudanese Omar al Bashir è riuscito a rientrare a Khartoum dal Sudafrica con un volo privato, eludendo ancora una volta il mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale.
Bashir è accusato di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra per il conflitto in Darfur, la zona nell’est del Sudan teatro nel 2005 di un conflitto che ha causato circa 500mila vittime e tre milioni di profughi. La Corte Penale ha emesso contro di lui due mandati di arresto, nel 2009 e nel 2010.
Omar al Bashir era arrivato a Johannesburg il 14 giugno, per partecipare a un vertice dell’Unione Africana. La Corte Penale aveva chiesto al Sudafrica di arrestarlo e un tribunale sudafricano aveva ordinato ad Al Bashir di non lasciare il Paese. L’alta corte di Pretoria aveva a sua volta ordinato l’arresto del presidente sudanese, ma il verdetto è stato emesso a poche ore dalla partenza di Bashir dal Sudafrica, risultando vano. Non è ancora chiaro il coinvolgimento delle forze di sicurezza sudafricane nella partenza di Bashir, ma quel che è certo è che il partito di governo, l’ANC, ha fermamente condannato il mandato di arresto emanato dall’alta corte, richiamandosi all’immunità diplomatica fornita a tutti i partecipanti del summit.
Il Sudafrica, in quanto firmatario dello Statuto di Roma - che ha dato vita alla Corte Penale Internazionale nel 2002 - era tecnicamente obbligato a trattenere e arrestare Bashir.
Nella vicenda ha tuttavia sicuramente pesato la recente critica rivolta alla Corte, accusata di avere pregiudizi nei confronti dei Paesi africani, gli unici a essere oggetto dei processi del Tribunale. In base a queste accuse, l’ANC ha recentemente dichiarato anche che la Corte “non è più utile agli scopi per la quale è stata creata”.
Una sconfitta per la giustizia internazionale? Forse. Ma sono in molti a ridimensionare queste accuse. Se è infatti vero che tutte le 9 situazioni sotto indagine della Corte si riferiscono a Paesi africani, bisogna anche ricordare che, come afferma Jeffrey Smith, del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights, “l’esistenza di tribunali speciali come quello per la ex Jugoslavia o la Cambogia hanno portato a una naturale riduzione dei Paesi da giudicare”.
La Corte inoltre è competente a giudicare crimini commessi dalla data di entrata in vigore del suo Statuto, ovvero 1 luglio 2002. E da quel momento, sono stati molti i conflitti esplosi nel continente africano.
È utile osservare anche che, secondo lo Statuto di Roma, la Corte avvia le indagini su richiesta degli Stati stessi o del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Solo in determinati casi il Procuratore può agire di propria iniziativa. E in effetti, tra i casi sul tavolo dei giudici, la metà sono stati richiesti dai medesimi Paesi africani - Uganda, Congo, Mali e Repubblica Centrafricana -, quelli per Libia e Sudan dal Consiglio di Sicurezza, mentre solo il caso di Kenya e Costa d’Avorio sono stati avviati su iniziativa del Procuratore.
A provocare maggiore risentimento tra i Paesi dell’Unione Africana non sono stati inoltre i processi ai danni delle milizie o dei movimenti ribelli, quanto piuttosto i procedimenti ai danni dei leader politici e militari, che spesso sono ancora al potere - come nel caso di Bashir e del presidente keniota Uhuru Kenyatta.
Se da un lato quindi la Corte può essere “scagionata” dall’accusa di pregiudizio contro i Paesi africani, rimane ancora aperta una questione essenziale. Il problema di questo strumento per la giustizia internazionale continua a essere la mancata ratifica del suo Statuto da parte di attori fondamentali come Stati Uniti, Israele, Russia, Cina, India, Pakistan o Iran.