Gariwo
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La lettera a Hitler

Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento

Io sono la voce degli esiliati…
che urla nel deserto…
la mia coscienza mi chiama a essere testimone
Giusto per gli armeni nel Muro della Memoria
al mausoleo del genocidio di Yerevan
Mi rivolgo a lei, Sig. Cancelliere del Reich: fermi queste azioni senza senso!…
Sig. Cancelliere del Reich! Il popolo tedesco è profondamente inquieto…
non si tratta solo del destino degli ebrei, si tratta del destino della Germania
Giusto tra le Nazioni
nel Giardino di Yad Vashem
Amava profondamente la natura e la scrittura
viaggiava per conoscere
senza paura del pericolo
con la gioia di vivere
tra gli affetti familiari
Mischa, ti occuperai tu della mia opera?
Non c’è patria senza giustizia
Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità…
perciò muoio in esilio

Armin T. Wegner era un tedesco speciale, che ha condotto una vita speciale.
Il suo cognome in tedesco significa “viandante”, quasi una predestinazione, sia per il continuo peregrinare che lo porterà in viaggi avventurosi, sia per i tormenti dell’anima, intellettuali e morali, che l’hanno sempre accompagnato.

Il libro

L’autore ha studiato a fondo gli scritti di Wegner, i documenti, le testimonianze di chi l’ha conosciuto, della figlia Sibylle, avuta dalla prima moglie Lola Landau, scrittrice ebrea che tanta influenza ha esercitato sulla vita del marito. E a lungo ha parlato con Mischa, il figlio della seconda moglie, la ceramista Irene Kowaliska, anche lei artista, anche lei in parte ebrea. Affetti che, come mostra il libro, avranno non poco peso nella decisione di Wegner di andare fino in fondo sulla via dell'impegno civile nel corso della sua lunga esistenza, da cui il figlio ha raccolto l’impegno sulla memoria, soprattutto verso il genocidio degli armeni.
Gabriele Nissim ci fa scoprire un personaggio davvero straordinario, con la sua travolgente umanità e le sue ambiguità e debolezze. Un artista, uno scrittore che fin da giovane si infiamma di fronte alle ingiustizie e con l’animo indignato compone non solo poesie, romanzi, saggi, ma anche le “lettere aperte” che lo hanno reso famoso, ovvero denunce e testimonianze pubbliche del buio della Storia.

Già nel 1909, trovando sul tavolo del padre un giornale aperto che parla dei massacri contro gli armeni compiuti da Hamid II, Armin scopre il male del mondo. Ragazzo molto sensibile e aperto agli altri, a 14 anni salva una ragazza dall'annegamento e viene decorato al valor civile.
Tra il 1915 e il 1933 compie tre gesti cruciali contro le atrocità che colpiscono milioni di uomini: la denuncia, con foto e conferenze pubbliche, dello sterminio degli armeni compiuto dal governo dei Giovani Turchi; l'abiura del comunismo, dapprima amato e poi ripudiato come un inganno; la protesta contro la persecuzione antisemita di Hitler.

Dopo la guerra Wegner scriverà ancora ai grandi della Terra per protestare contro le emergenze umanitarie del XX secolo. Lo farà nella sua particolare cifra letteraria segnata dall'esilio, vissuto in Italia fino alla morte. In lui troviamo, oltre al poeta sempre fedele alla lingua, il Giusto universale, onorato a Yerevan e a Yad Vashem per la sua solidarietà con armeni ed ebrei, pagata a caro prezzo.
Il titolo del libro rimanda alla lettera a Hitler che ha segnato il passaggio centrale della sua vita. Arrestato per aver osato protestare con il führer in difesa degli ebrei e torturato dalla Gestapo, da quel giorno Armin si sentirà investito di una missione impossibile: rappresentare la parte migliore della cultura tedesca.
In questo coinvolgente racconto biografico, Gabriele Nissim ci restituisce la vicenda umana e politica di un uomo che non ha mai smesso di interrogarsi e interrogare il suo popolo sulla Shoah e il senso di colpa collettivo.

Il libro La lettera a Hitler, Mondadori 2015 (15€, 304 pag.), è disponibile nelle migliori librerie. Oppure puoi ordinarlo online dal sito dell'editore mondadoristore.it.
Lo trovi anche su Amazon e IBS.

L’autore

Gabriele NissimGabriele Nissim, giornalista e saggista, ha fondato nel 1982 «l’Ottavo Giorno», rivista italiana sul tema del dissenso nei paesi dell’Est europeo. Ha collaborato con «il Giornale», il «Corriere della Sera», «Il Mondo». Per Canale 5 e la televisione della Svizzera italiana ha realizzato documentari sull’opposizione clandestina ai regimi comunisti, sui problemi del postcomunismo e sulla condizione ebraica nei paesi dell’Est. È presidente di Gariwo, la foresta dei Giusti, che ricerca e promuove le figure di resistenza morale a tutti i genocidi e totalitarismi, ed è il promotore della Giornata europea dei giusti istituita il 10 maggio 2012 dal Parlamento europeo.
Da Mondadori ha pubblicato Ebrei invisibili. I sopravvissuti dell’Europa orientale dal comunismo a oggi (con Gabriele Eschenazi, 1995), L’uomo che fermò Hitler. La storia di Dimităr Pešev che salvò gli ebrei di una nazione intera (1998), Il tribunale del bene. La storia di Moshe Bejski, l’uomo che creò il Giardino dei giusti (2003), Una bambina contro Stalin. L’italiana che lottò per la verità su suo padre (2007) e La bontà insensata. Il segreto degli uomini giusti (2010). Ha inoltre curato il volume Storie di uomini giusti nel Gulag (2004).

Le voci

Le foto

Alcuni scatti tratti dall’archivio di famiglia che percorrono la lunga e intensa vita di Wegner, amante dello sport, della natura, delle belle donne, ma soprattutto della letteratura e della poesia, della bellezza del mondo e dell’Umanità. Uomo sensibile, onesto e leale, lo scrittore tedesco fu coinvolto emotivamente in modo indelebile durante la giovinezza dall’esperienza in Anatolia, di fronte alla ferocia dello sterminio degli armeni, e ancora nel 1933, quando iniziarono le prime persecuzioni antiebraiche in Germania.

Non girò la testa dall’altra parte, non rimase indifferente. Fece lo stesso con il comunismo, spirito libero in ogni circostanza e davanti a chiunque, dai grandi della terra a cui scrisse lettere accorate, ai deboli e inermi che cercò di difendere. Documentò, denunciò e pagò di persona con la tortura e l’esilio. Anche i suoi affetti ne soffrirono e Armin ne fu indelebilmente segnato. Morì a Roma, a 92 anni, con il rimpianto di non essere mai stato compreso dal suo popolo.

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Nel 1916 Armin scriveva di essere precipitato all’inferno, guardando le sofferenze degli armeni. Nelle sue rapide visite nei loro campi, cominciò a scattare di nascosto alcune fotografie, perché si era reso conto che anche la sua capacità narrativa non avrebbe potuto trasmettere al mondo quanto i suoi occhi osservavano. Le immagini erano più forti delle parole. Era il primo testimone che usava la tecnica fotografica per documentare un crimine contro l’umanità. Ebbe così modo di fotografare la persecuzione degli armeni e il loro esodo verso il deserto nel corso della spedizione militare tedesca a Costantinopoli, Baghdad, Deir-el-zor, Aleppo.

Tornato in Germania, Armin raccolse altre foto dai reduci della campagna in Anatolia e organizzò incontri e conferenze per denunciare il genocidio del popolo armeno. La sua preziosa documentazione, conservata nell’archivio di famiglia (diritti Wallstein Verlag), ne rimane a tutt’oggi la più completa testimonianza e la convincente smentita del negazionismo turco.

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