Il fatto che in vent'anni di regno il presidente russo sia passato dalla nostalgia per l'impero sovietico nel quale era nato e cresciuto al rimpianto per una grandeur monarchica della quale sembra avere un'idea tratta più dalla serie su Caterina su Netflix che dai libri di storia, è una svolta ideologica in corso da tempo, almeno dal 2014, quando la Russia ha annesso la Crimea.
Nella fatale escalation militare e diplomatica tra la Russia e l’Occidente sul dossier ucraino l’Unione Europea ricopre un ruolo marginale, non attrezzata di fronte a un regime, quello di Putin, che sembra avere poco da perdere di fronte a una guerra.
La liquidazione di Memorial Internazionale è l'ultimo tassello di una restaurazione passata da film e manifesti, monumenti e libri (il manuale unico di storia voluto da Putin liquida le purghe staliniane in pochi paragrafi), dalla raffigurazione del dittatore alla nazionalizzazione del museo dei prigionieri politici nel campo Perm'-35.
Lukashenko e Putin hanno molto in comune: entrambi autocrati con problemi di consenso interno e isolamento esterno, architetti di due regimi ai quali loro stessi hanno tolto valvole di sicurezza, meccanismi di successione e la manopola della retromarcia. Nei manuali della diplomazia occidentale andrebbe introdotto un capitolo sui negoziati con le dittature.