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​Come difenderci dalle bufale sul Covid19 (e non solo)

di Antonio Barbangelo

Dopo la metà di aprile su WhatsApp è circolato un audio di 7 minti e 15 secondi, dove una voce maschile affermava che “il popolo è pronto a ribellarsi, insieme alle forze dell’ordine, disposte ad ammutinarsi all’imminente obbligo di vaccino”. Più altre farneticazioni dello stesso tenore. A fine marzo sui social è apparso un video di 5 minuti e 4 secondi, realizzato da un giovane italiano che, camminando per le vie di Tokyo con in mano la scatoletta di un medicinale, sosteneva che in Giappone tutti fanno una vita normale: passeggiano senza mascherina e senza tenere le distanze di sicurezza, vanno al bar e al ristorante. Come mai? Perché in Gippone hanno scoperto che il “magico” medicinale guarisce il 90% dei casi di Covis19. “Naturalmente”, sentenziava il ragazzo del video, “questa notizia i giornali e i Tg ve la tengono nascosta, perché ci sono in gioco enormi interessi economici”.

C'è quella che dice di non lasciare cani e gatti sui balconi, perché passeranno con gli elicotteri a disinfestare; o quella secondo cui bere acqua calda aiuta a curare il Covid19. In tempo di pandemia si moltiplicano a dismisura panzane e complotti inventati. E ogni bufala contribuisce a gonfiare l'onda di allarmismo e la diffidenza, aprendo una piccola crepa nel tessuto sociale.

L’Oms e il fiume di informazioni
Già il 2 febbraio scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel suo report quotidiano, spiegava che l’epidemia di 2019-nCoV è “accompagnata da una massiccia infodemia, cioè un fiume di informazioni, alcune accurate, altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili”. Inoltre l’organizzazione con sede a Ginevra faceva sapere che i team comunicazione e social media stavano lavorando h24 per identificare le dicerie più diffuse, potenzialmente dannose per la salute pubblica.

A fine marzo il Governo italiano ha annunciato la creazione dell’”Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al Covid-19 sul web e sui social network”, la task force per contrastare le notizie false sull'emergenza sanitaria, che fa riferimento al sottosegretario con delega all'Editoria, Andrea Martella. L’Unità è composta dai giornalisti Riccardo Luna, Francesco Piccinini, David Puente, Roberta Villa e Giovanni Zagni; e dai professori Ruben Razzante (diritto dell'informazione alla Cattolica di Milano), Luisa Verdoliva (Elaborazione dei segnali multimediali alla Federico II di Napoli) e Fabiana Zollo (ricercatrice sui flussi informativi online alla Ca' Foscari di Venezia).

Le bufale sono sempre sensazionali
Riconoscere una bufala (sul Covid19, ma non solo) a volte non è facile. In momenti di incertezza, come quello che il mondo sta vivendo con la nuova pandemia, il flusso di false notizie può diventare incontrollabile. E la condivisione può scattare quasi inconsapevolmente e “colpire” chiunque. Perché lo facciamo? "Una fake news non è mai banale”, spiega Roberto Nicoletti, professore di psicologia cognitiva a Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Bologna. “La bufala è sempre sensazionale, rilevante”. Chi la riceve ha la percezione di essere entrato in contatto con qualcosa che in pochi sanno e da lì scatta il desiderio di condividerla. Secondo diverse ricerche, è proprio la natura delle piattaforme social a deviare la nostra attenzione da fattori importanti quali la veridicità e l’accuratezza della notizia. E così, anche se non si vuole scientemente alimentare la disinformazione, si inciampa e si condivide. Poi c’è la paura di questo periodo che ci induce a credere a tutto.

Atteggiamento critico e costo psicologico
Dovremmo tutti assumere un atteggiamento critico e scettico nei confronti di un qualsiasi contenuto della comunicazione, soprattutto se proviene da piattaforme social o da chat. Ma questo modo di procedere ha un costo, non solo in termini di tempo (perché bisogna fare ricerche e verifiche), ma anche psicologico, perché bisogna mettersi in discussione nei confronti di un tema. In molte situazioni troviamo più semplice crederci e basta. Sarebbe importante tenere conto che una cosa che leggiamo non sempre è vera solo perché l’ha inoltrata qualcuno che conosciamo. Né perché si trova su un sito web. E nemmeno perché sta su un sito internet che conosciamo: informazioni false, infatti (come quella dello studio sulla sopravvivenza e distanza che può coprire il virus), sono state diffuse in queste settimane e pubblicate anche da testate famose e importanti, per trascuratezza nel verificarne la fonte.

Controllare le fonti
Da anni controllare è diventato facilissimo, grazie alle molte fonti accessibili online. Chi riceve un messaggio dove si afferma, per esempio, che bere alcolici limita la diffusione del contagio dovrebbe, prima di tutto, cercare su Google, anche sui siti in inglese (che sono molti di più: drink alcohol coronavirus). Chi non trova informazioni sufficienti, può provare aggiungendo la parola “bufala”, oppure “hoax” (inganno), insieme al tema che si desidera verificare. E ricordiamo comunque che Google non dice per forza la verità. Occorre sempre controllate l’affidabilità del sito che si sta visitando. È anche possibile fare un giretto nei siti che “scoprono” le fake news (per esempio: www.bufaleedintorni.it, oppure https://m.butac.it). Molti spunti interessanti sulle potenzialità e le trappole del web sono contenuti nella “Carta dei social media”, elaborata da Gariwo.
Le fake news hanno più facce: messaggi inoltrati su WhatsApp, foto, articoli; a volte frammenti di affermazioni (accuratamente scelti) di politici o virologi. Spesso vengono mescolati fatti veri, ampiamente conosciuti (quindi credibili), con altri fatti del tutto falsi, ma verosimili. Sono le stesse “tecniche” di disinformazione usate dai negazionisti dei cambiamenti climatici prodotti dall’uomo e dall’eccesso di anidride carbonica; o le “tecniche” usate dai negazionisti della Shoah.

La bolla di filtraggio dei social network
Secondo gli psicologi, chi costruisce le bufale per i social network punta a produrre tre tipologie di emozioni umane: rabbia, paura o disgusto. Sono queste emozioni che contribuiscono ad attivare la spinta alla condivisione. Naturalmente le fake trovano terreno fertile tra coloro che non vedono l’ora di ricevere ulteriori notizie “esclusive” per confermare le proprie consolidate convinzioni. Con l’aiuto dei raffinati algoritmi dei social, che per ciascun utente registrato hanno creato quella che è stata chiamata la “bolla di filtraggio”: le persone si ritrovano in una sorta di “bolla” nella quale hanno accesso solo a informazioni che confermano ciò che già pensano. Ed ecco che la panzana si propaga facilmente nel web. Consideriamo, inoltre, che esiste un principio noto nella comunicazione secondo cui, se una persona sente o legge la stessa cosa per circa 10 volte, nella sua mente diventa automaticamente un verità. Soprattutto se le fonti che la comunicano sono diverse.

Narrazione schematica, facilmente digeribile
Oltre a essere ogni volta sensazionale e rilevante, il contenuto della fake news è sempre semplice, o meglio semplicistico, schematico (come la cura “magica” nel video girato a Tokyo). C’è un altro aspetto inquietante: in tempi di coronavirus le bufale non si limitano a diffondere fantasiose ipotesi sull’origine della pandemia o sui metodi di cura, ma mescolano accuratamente il tutto in uno scenario sociale da “Grande Fratello”, di George Orwell. Oggi circolano nel web audio, e brevi video, nei quali è possibile ascoltare cose assurde del tipo “L’informazione mainstream non vi dirà mai che ...”. Oppure: “Il potere (o il deep state) ci sta tenendo a casa per poterci manipolare facilmente, mentre i giornali creano appositamente la paura, .... per poter rendere il vaccino obbligatorio ...”. Ne è un esempio il delirante audio citato sopra, dove qualcuno afferma che “...il popolo è pronto a ribellarsi...”. Ecco – purtroppo - come si generano con facilità rabbia, paura e disgusto. Sono ancora costruzioni schematiche, di tipo manicheo: il bianco e il nero. Senza sfumature.

I possibili pericoli della sottovalutazione
Tra l’altro, il minimizzare gli effetti del contagio e la sottovalutazione della situazione sanitaria reale, può indurre qualcuno ad avere un atteggiamento disinvolto, contribuendo così ad aumentare il contagio. Ci auguriamo che ciò non accada. Però è un rischio presente, se cresce il numero di coloro che evitano di avvicinarsi a giornali e televisione, e si consolano con la “verità alternativa” dei messaggi web che insistono su “... è poco più di un’influenza ...”. Ci possono “cascare” persone con le migliori intenzioni; magari proprio coloro che aspirano a vivere in un mondo dove regnano libertà di pensiero, democrazia, solidarietà, consapevolezza, rispetto dei diritti umani fondamentali.

Ma con il Covid19 non ci sono soluzioni semplici. Siamo di fronte a una tempesta mondiale che investe aspetti biologici, economici, finanziari, di etica, geopolitica, di psicologia e sanità pubblica. Infiniti risvolti si intrecciano. Dobbiamo trovare il tempo e la pazienza per affrontare la complessità.

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