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Facebook vs Twitter: due strategie a confronto

sulla responsabilità dei social media

Si è parlato molto nelle ultime settimane del ruolo e delle responsabilità dei social media nella società e in politica, soprattuto relativamente a ciò che sta accadendo negli Stati Uniti e alle dichiarazioni del presidente Donald Trump. Un punto di svolta sull’argomento, si è raggiunto quando Twitter ha segnalato per la prima volta un tweet del presidente USA con una notifica “informati sui fatti”. Il post in questione era la frase istigatrice “in caso di saccheggi si inizia a sparare”, riguardo le proteste per l’uccisione di George Floyd. In quell’episodio, si è registrata una reazione diversa delle due piattaforme social su cui è apparsa la dichiarazione, Twitter e Facebook. La prima, come detto, si è espressa rimandando il proprio pubblico a una pagina informativa sul tema, la seconda invece, nella persona del suo Ceo Mark Zuckerberg, ha preferito non intervenire e non rimuovere il contenuto, motivando la scelta con una strenua difesa della libertà di espressione, fortemente protetta negli USA.

Zuckerberg, pur dichiarando pubblicamente disapprovazione per l’affermazione violenta di Trump, ha sostenuto che se un post pubblicato su un social network è di interesse pubblico deve essere lasciato, in modo che la gente abbia la possibilità di leggerlo. “Sebbene il post avesse un riferimento storico preoccupante, abbiamo deciso di lasciarlo, poiché pensiamo che le persone debbano sapere se il governo ha intenzione di schierare la forza. La nostra policy, in caso di istigazione alla violenza, consente discussioni sull'uso della forza da parte dello Stato, anche se penso che la situazione odierna sollevi importanti domande su quali limiti a tale discussione dovrebbero essere posti”, ha scritto Zuckerberg. Continuando, ha inoltre definito poco utili le notifiche utilizzate dal rivale Jack Dorsey, Ceo di Twitter, commentando: “A differenza di Twitter, non seguiamo la politica di mettere un avvertimento davanti ai post che possono incitare alla violenza, perché crediamo che, se è questo il caso, il post dovrebbe essere rimosso indipendentemente dal fatto che sia degno di nota, anche se proviene da un politico”. Un’affermazione, quest’ultima, sotto certi aspetti in disaccordo con la motivazione descritta precedentemente.

Da un lato troviamo quindi Twitter, che, nonostante il decreto di stretta sui social media firmato da Trump, sta continuando con la sua politica di segnalazione dei post del presidente considerati pericolosi o ingannevoli: ci sono stati altri interventi della piattaforma, come nel caso dell’etichetta di “contenuto manipolato” apposta alla condivisione da parte del presidente Trump del video fake di un bambino bianco che insegue un bambino afroamericano, accompagnato dalla scritta “bimbo terrorizzato fugge da bimbo razzista”, la cui versione originale, già ripresa dalla CNN nel 2019, vede i due bambini correre l'uno verso l'altro. Altra moderazione si è verificata poi con il tweet di Trump di qualche giorno fa - rivolto ai manifestanti, in particolare a quelli di Washington - che faceva riferimento alle voci sulla possibile occupazione di una parte della città, minacciando i diretti interessati di seri interventi con la forza al fine di ristabilire l’ordine. Il post non è stato oscurato né cancellato, ma per leggerlo è necessario passare prima per un’indicazione che dice: “Questo tweet viola le regole di Twitter sui comportamenti offensivi. Tuttavia abbiamo deciso di non oscurarlo perché potrebbe essere di pubblico interesse”. 

Dall’altro lato, Facebook sta preferendo in generale lasciar correre su linguaggio, materiale e politiche infiammatori con cui Trump sta cercando di dividere gli americani per origini, mentre fa appello alla sua base di elettori prevalentemente bianca. Come riportato del New York Times, si è parlato anche di un’“alleanza” di interessi reciproci fra il presidente USA e Zuckerberg. Quest’ultimo ha voluto mantenere la sua piattaforma finora come una sorta di super partes che, seppure è indubbio che sia entrata a tutti i livelli nella società, secondo lui non deve assumere una posizione, trattandosi di una realtà di natura privata, ma limitarsi ad essere una finestra della libera condivisione. Fatta eccezione, ad esempio, per il caso di una serie di inserzioni pubblicitarie apparse sulle pagine del presidente Trump, della sua campagna elettorale e del vicepresidente Mike Pence, che accompagnavano alla frase “gang pericolose di gruppi di estrema sinistra scorrazzano per le nostre strade seminando il caos” un triangolo rosso rovesciato riconducibile a quello usato dai nazisti nei campi di sterminio per identificare i prigionieri politici, di cui fanno largo uso i gruppi di suprematisti bianchi nel Paese; questa volta i contenuti sono stati rimossi. La dichiarazione ufficiale di Facebook sull’intervento è stata: “Abbiamo rimosso i post e gli annunci pubblicitari perché violavano la nostra policy contro l’odio organizzato. La nostra politica proibisce l'uso del simbolo d’odio utilizzato da un gruppo condannato, senza il contesto che condanna o discute il simbolo”. Questa azione di Facebook è stata solo un caso, conseguenza di un’iconografia eclatantemente da bannare, oppure può essere un segno di revisione delle sue posizioni?

Infine, sarebbe interessante che Zuckerberg si esprimesse nuovamente sulla nascita della Facebook Supreme Court, avvenuta a maggio 2020: un consiglio indipendente formato da giornalisti, giudici, attivisti dei diritti digitali, ex consiglieri governativi da tutto il mondo, istituito per avere l'ultima parola, con decisioni rese pubbliche, su quali contenuti controversi dovrebbero essere eliminati. Per ora si sanno i nomi dei solo venti elementi che ne fanno parte, ma non molto si conosce del suo funzionamento e di come si garantirà che trasparenza, sicurezza e interesse pubblico vengano tutelati.

Le decisioni su come intervenire per rendere i social media più responsabili rispetto ai contenuti che permettono di veicolare, sia da parte dei provider stessi che dei governi, è ancora molto nebulosa, seppure, come nel caso soprattutto di Twitter, una rinnovata discussione sul tema è stata avviata. Quello che sembra ancora mancare, è una riflessione congiunta e pubblica a livello internazionale sul tema, non solo sul caso specifico, ma sulla valenza che queste grandi realtà private hanno assunto nella vita di tutti i cittadini, a tal punto da influenzare anche, con molta probabilità, gli andamenti di decisioni di enorme peso politico e umano. Un discorso che dovrebbe essere affrontato a più voci e sotto diversi punti di vista, etico prima di tutto, ma anche educativo, legislativo, economico. 

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