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Il significato della Commissione contro l'odio voluta da Liliana Segre

L'intervento del sen. Francesco Verducci alla Gariwo Netweek

Riprendiamo l'intervento del sen. Francesco Verducci, ospite della conferenza "L'etica ai tempi dell'odio" in occasione della Gariwo Netweek. Verducci è vicepresidente della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza.

La commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione, all'odio e alla violenza è stata voluta con forza dalla senatrice Liliana Segre e in questo c’è un grande significato simbolico e politico. Questa Commissione trae forza ed autorevolezza dall'impegno politico di Liliana Segre ed attraverso di esso i lavori della Commissione si sono rivolti non solo al Parlamento italiano, alle istituzioni europee, al dibattito pubblico, ma innanzitutto alle nuove generazioni, in modo che strumenti nuovi diano forza alle nostre democrazie ed impediscano il rigurgito di tempi oscuri.

La memoria e la coscienza civile condivisa sono il legame che unisce le generazioni. Un Paese senza memoria è un Paese senza futuro. La voce di Liliana Segre rappresenta un messaggio universale, per i valori che incarna, che sono antidoto ad ogni discriminazione, ad ogni discorso d'odio.

L'impegno della Commissione ha un carattere ed un'importanza peculiare nell'attività politica che viviamo, che travalica di molto anche i confini nazionali. All'abominio delle leggi razziali volute dal fascismo, i padri costituenti della nostra Repubblica vollero rispondere con gli articoli della nostra Costituzione, in particolare l'articolo 2 e l'articolo 3, quelli che incarnano i principi di uguaglianza, di non discriminazione, di rispetto della dignità inviolabile della persona e che indicano come nostro compito quello di abbattere i muri delle diseguaglianze. Questo è il solco entro cui si è mossa la Commissione.

La risposta più forte che la politica possa dare contro i discorsi di istigazione all'odio è attuare la nostra Costituzione, fare leggi di inclusione che estendano diritti sociali e diritti civili, che sono tutt'uno e si rafforzano vicendevolmente.

C’è uno strumento intorno al quale la Commissione ha incardinato i suoi lavori: un'indagine conoscitiva su natura, cause, sviluppi recenti dei discorsi d'odio. Sono state svolte quasi cento audizioni, con la volontà di avere uno sguardo che fosse il più possibile ampio, all'altezza dei problemi. Gran parte del lavoro è stato concentrato sul tema della tutela dei diritti fondamentali, in particolare dei soggetti vittime di hate speech, un tema che investe il rapporto tra multinazionali digitali e democrazia.

Viviamo, nel tempo di oggi, una recrudescenza dei discorsi di istigazione all’odio online. “Una gigantesca onda”, è stata definita in una audizione. In particolare ciò che è diverso rispetto ad altre fasi storiche è la loro pervasività legata alla capacità di propagazione nella rete. Le piattaforme digitali sono molto più di un mezzo di comunicazione, sono la forma sociale in cui viviamo. Il tema urgente che va affrontato è fare in modo che questa forma sociale totalizzante, nata nell'evoluzione del mercato sulla spinta della potentissima rivoluzione digitale, non travolga le nostre democrazie.

Il linguaggio di istigazione all'odio è un linguaggio discriminatorio, perché impedisce il protagonismo di singole individualità, di intere comunità. È un discorso dai tratti totalitari perché esclude e reprime. In questo senso è incompatibile con la democrazia, che invece ha il compito di includere, di emancipare.

Non vi è dubbio che esista una libertà di odiare, che attiene alla sfera dei sentimenti. Ma questa libertà va distinta dai discorsi d’odio. Cosa sia un discorso d’odio è una delle domande centrali dell'indagine. La letteratura giuridica è concorde nel definire il discorso d’odio come una forma di incitamento all’odio e alla discriminazione che abbia come destinatario un soggetto o un gruppo appartenente a una categoria bersaglio, o target, in virtù di colore della pelle, etnia, religione, nazionalità, disabilità, sesso, identità di genere, orientamento sessuale. Si tratta di un fenomeno certamente sottostimato, data la difficoltà delle vittime di crimini d’odio di denunciare (under-reporting) e la difficoltà del soggetto pubblico che riceve la denuncia di riconoscere e categorizzare l’istigazione all’odio (under-recording), principalmente per l’assenza di una definizione univoca e di conseguenza per l’assenza di una fattispecie normativa che ne riconosca la specificità.

Già nel 2010 il Consiglio d’Europa pubblicava una raccomandazione a tutti gli Stati perché assumessero concrete misure contro i discorsi d'odio di genere ed omofobici. Lo stesso comitato dei ministri del Consiglio d’Europa raccomandava iniziative contro l'incitamento alla violenza sui media e su Internet. Oggi questo tema è riconosciuto da tutti come il più urgente ed il regolamento europeo noto come Digital Service Act ha l'obiettivo di traghettare l’Europa verso una regolamentazione effettiva delle piattaforme digitali, contrastando le attività illegali in rete, definendo le responsabilità dei fornitori di servizi online.

Oltre che legati a fattori storici e alla permanenza di pregiudizi e stereotipi, i discorsi d’odio sono anche l’indicatore di un’aggressività dovuta alle diseguaglianze e alle fratture del sistema sociale e delle forme culturali, che generano spaesamento e, talvolta, una rabbia cieca contro l’altro. È fondamentale intervenire per contrastare le cause sociali e culturali che favoriscono il fenomeno anche attraverso l'attuazione delle strategie già elaborate su antisemitismo, rom e donne.

Durante i lavori dell'indagine è emerso come gli studi più recenti abbiano proposto di inquadrare i discorsi d'odio non solo come una lesione della dignità della persona offesa ma anzitutto come una limitazione della sua libertà di espressione. La vittima di istigazione all’odio, infatti, è impossibilitata ad esprimere sé stessa. In quest’ottica, contrastare i discorsi di istigazione all’odio significa innanzitutto tutelare la libertà di espressione del soggetto debole aggredito nei confronti dell’abuso di libertà di espressione del soggetto che compie l'aggressione. Una prospettiva, quest'ultima, che pone tutta la discussione non più nel bilanciamento tra diritto alla libertà di espressione e diritto alla tutela della dignità ma soprattutto nell'alveo del principio fondamentale della libertà d'espressione.

Si tratta di un punto di vista acquisito anche dalla Commissione europea che, nel Piano d'Azione dell'UE contro il razzismo 2020-2025 [COM(2020) 565], sottolinea la presenza di ostacoli alla partecipazione e alla rappresentanza democratica per i gruppi a rischio di emarginazione, come le persone appartenenti a minoranze. Allo stesso modo, nel Piano d’Azione per la democrazia europea [COM(2020) 790], la Commissione europea si impegna a compiere ulteriori sforzi nella lotta contro l'incitamento all'odio online, considerato fattore che impedisce e dissuade le persone dall'esprimere le proprie opinioni e dal partecipare alle discussioni in rete, e dunque configurandosi come causa di violazione dei diritti umani fondamentali.

Questo dibattito sulla regolamentazione da anni è presente anche negli Stati Uniti d’America e in molti, durante le nostre audizioni, si sono interrogati sul nesso tra diffusione online dei discorsi d'odio e modello di business delle piattaforme digitali, e quindi tra sviluppo tecnologico, mercato, interessi economici.

C'è un rischio gigantesco: quello della privatizzazione del diritto, cioè di un potere privato, arbitrario o discrezionale, che insiste su materie che invece sono l'essenza stessa della democrazia: il potere di decidere in merito ai contenuti da pubblicare, il potere di far emergere alcuni contenuti a discapito di altri. Ha affermato a questo proposito, in una delle nostre audizioni, Michelle Bachelet, Alto Commissario ONU per i Diritti Umani: «Devono essere le persone a decidere, non gli algoritmi». Questa frase racchiude il senso del tema che abbiamo di fronte.

L'indagine si è concentrata sulla capacità delle piattaforme di fare da moltiplicatore dei discorsi d’odio, sul peso che nella loro diffusione hanno gli algoritmi, le camere d’eco e i tentativi di moderazione, analizzando in particolare il tentativo regolatorio dell’UE, appunto attraverso il DSA. Il Regolamento ha l’obiettivo di costruire nell’Unione europea una regolamentazione effettiva delle piattaforme digitali, contrastando le attività illegali in rete e definendo le responsabilità dei fornitori di servizi online.

Un impianto fondato su regolamentazione e responsabilità delle piattaforme che opera un cambio di paradigma: supera decisamente ed archivia di fatto la fase della esclusiva autoregolamentazione che dagli anni Novanta ad oggi si era imposta nel vuoto normativo. Il DSA si configura come un primo tentativo di armonizzare la normativa europea sui contenuti illeciti. Tuttavia, per la loro individuazione, il Regolamento europeo rimanda alle legislazioni nazionali. Di conseguenza, se permanesse l’assenza di una definizione di discorso d’odio nell’ordinamento italiano ciò renderebbe di fatto inefficace l’applicazione del Regolamento nel nostro Paese. Una questione che potrebbe essere risolta laddove fosse accolta la proposta di modifica all'articolo 83 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che mira a includere i reati d'incitamento all'odio e i crimini ispirati all'odio tra i reati di rilevanza europea.

Nelle sue conclusioni, approvate all'unanimità, la Commissione ha chiesto con forza un intervento normativo urgente da parte dei legislatori. Nell'attesa che a livello sovranazionale si giunga ad una definizione giuridicamente vincolante dei discorsi d’odio, i lavori della Commissione hanno evidenziato la necessità di intervenire nell’ambito del diritto interno, affermando la necessità di una forte e condivisa iniziativa politica e legislativa, intorno ad alcune misure dirimenti per contrastare la diffusione dei discorsi d’odio: 1. strumenti per garantire un’adeguata conoscenza del fenomeno; 2. norme a maggiore tutela delle vittime dei discorsi d’odio; 3. soprattutto, la richiesta di acquisire una definizione giuridica di discorsi d'odio nel nostro ordinamento.

Avere una definizione di discorsi d'odio vuol dire rendere più semplice il lavoro degli operatori di polizia che devono raccogliere le denunce; vuol dire rendere più semplice l'attività interpretativa che i giudici devono compiere nel momento in cui si trovano a giudicare l'istigazione all'odio; vuol dire, nel settore della giustizia civile, individuare quelle molestie dovute a discorsi d’odio che determinano un diritto a un risarcimento; vuol dire, nelle attività di istruzione e formazione, in particolare nei percorsi scolastici - momento imprescindibile per combattere i discorsi d’odio - avere una traccia su come queste attività debbano svolgersi. Avere una definizione giuridica vincolante di discorsi d'odio nel nostro ordinamento vuol dire, soprattutto, rendere effettiva la tutela, in tema di istigazione all’odio online, del DSA, quando esso sarà entrerà in vigore.

L'istigazione all'odio non ha niente a che fare con la libertà di espressione, anzi ne è la negazione. È una libertà che si autodistrugge, come hanno stigmatizzato in audizione autorevoli giuristi, perché impedisce ad altri di parlare e di esistere. Solo dove libertà, dignità, uguaglianza vivono insieme, allora può vivere lo stato di diritto.

Francesco Verducci

Analisi di Francesco Verducci, Senatore della Repubblica

21 novembre 2022

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