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L’odio e la sua intersezionalità

Fare rete per meglio comprendere i fenomeni d’odio e le discriminazioni

Si è svolto in diretta sulla pagina Facebook della Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d'odio, che ha appena chiesto alla Ministra della Giustizia Marta Cartabia di istituire anche in Italia una commissione nazionale per i diritti umani, un interessante incontro sul tema della intersezionalità del discorso d’odio e sulle discriminazioni multiple.

Hanno partecipato Barbara Giovanna Bello, Avvocata e docente di Sociologia del diritto, Università Statale di Milano e membro del Centro di Ricerca Interdipartimentale su Discriminazioni e Vulnerabilità dell’Università di Modena e Reggio, Silvia Brena, Giornalista e Co-fondatrice di VoxDiritti – Osservatorio Italiano sui Diritti, Asmae Dachan, Giornalista, scrittrice e attivista, Laura Fano, Senior Campaign Officer di Amnesty International Italia, Kwanza Musi Dos Santos, Consulente e formatrice specializzata in Diversity Management, Milena Santerini, Professoressa ordinaria di Pedagogia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttrice di MediaVox – Osservatorio odio online Università Cattolica, un progetto a cui Gariwo ha aderito con convinzione.

L’odio intersezionale e le discriminazioni multiple rappresentano una tematica che, come espresso dal moderatore Federico Faloppa, Professore associato di Linguistica presso l’Università di Reading (UK) e Coordinatore della Rete Nazionale per il Contrasto ai Discorsi e ai Fenomeni d’odio, viene molto trattata ma spesso in modo poco approfondito, che snatura talvolta l’importanza del dibattito che invece dovrebbe contraddistinguerla. Questo incontro ha fornito invece una lettura aperta e profonda di uno degli elementi più spinosi dell’hate speech e in generale dei fenomeni d’odio, ossia l’intersezione di due o più caratteristiche dell’identità verso le quali si producono discriminazioni e insulti “qualitativamente” diversi da quelli sperimentati sulla base di una singola categoria, come nel caso di una persona che diventa vittima di uno specifico odio in ragione del suo essere donna e nera.

Questo elemento è stato per esempio osservato dalle ricerche di MediaVox in due situazioni: nel caso dell’odio scatenatosi online contro la Senatrice Liliana Segre, ferocemente attaccata dopo essersi sottoposta al vaccino non tanto in quanto ebrea, ma in quanto rappresentante in quel momento di “un’élite al potere che impone al popolo una scelta” (come raccontato da Santerini) e nello stesso tempo anche donna; e di Silvia Aisha Romano, che ha visto su di sé il risultato dell’intersezione tra odio antimusulmano, verso i migranti e verso le donne. In questi casi si produce un qualcosa di diverso che non è semplicemente la somma di più tipi di odio “categoriale”, non è solo quantitativamente maggiore, ma assume delle caratteristiche proprie, oltre a un potenziale più elevato, sulle quali c’è bisogno di interrogarsi. “Più che creare uno spazio ad hoc per l’intersezionalità”, dice Kwanza Musi Dos Santos, “come per l’antirazzismo, bisognerebbe fare in modo che in ogni cosa che si fa ci sia la compresenza di questi temi e un attenzione particolare ad essi”. “Mi sono trovata in contesti razzisti che però erano femministi o in altri antirazzisti ma molto sessisti”, ha continuato Dos Santos.

L’intersezionalità ci aiuta a comprendere quelle forme di discriminazione che altrimenti resterebbero invisibili”, con quest’osservazione Barbara Bello ci fa capire molto chiaramente come il non riconoscere la compresenza di diverse componenti possa causare un vuoto di tutela, come nel caso, oltreoceano, della sterilizzazione senza previo consenso delle donne Rom, posta all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Questa interazione tra categorie ha creato una discriminazione qualitativamente diversa, non contro i Rom o contro le donne, ma contro le donne Rom. Non si tratta quindi di concetti solo teorici ma di situazioni che toccano personalmente moltissime persone e riconoscerle è il primo passo verso una miglior tutela. “Attenzione però a non congelare la categorizzazione”, puntualizza Santerini, “altrimenti rischiamo di fare danno, perché se da un lato a livello anche giuridico è molto importante poter riconoscere queste maggiori vulnerabilità di diversi gruppi, dall’altro lato, se queste differenze vengono eccessivamente fissate, non si rende un servizio alla causa.”

Preziosa è stata anche la presentazione da parte di Laura Fano di Amnesty dei dati del barometro dell'odio che ha analizzato l’impatto che le ripercussioni della pandemia sui diritti economici, sociali e culturali hanno avuto sulla discriminazione online. Un dato molto preoccupante è stato sicuramente quello che ha evidenziato come i 5 post che in assoluto hanno scatenato più odio nel periodo pandemico sono stati ad opera di personaggi politici. Ciò vuol dire che, come abbiamo analizzato nella Carta dei social media di Gariwo, coloro che dovrebbero esprime autorevolezza nel discorso, proprio in ragione anche della propria posizione di risalto, spesso invece si mostrano irresponsabili rispetto al messaggio che veicolano. Il barometro ha rilevato inoltre una recrudescenza dell'odio online che si è radicalizzato rispetto ai commenti discriminatori, dice Fano, "si offende meno ma si incita di più all'odio". I migranti sono risultati inoltre la categoria in rete più attaccata in questo anno pandemico, intersecandosi con i contenuti sui diritti economici e sociali delle persone relativamente al Covid il migrante è stato quindi oggetto di odio per nuovi motivi, "noi non abbiamo abbastanza risorse e 'loro' ce le rubano". 

Silvia Brena ha poi commentato dei dati che vale la pena di osservare a fondo, la Mappa dell'Intolleranza di VoxDiritti rileva che, su Twitter, il 49,91 % dei tweet negativi è di stampo misogino, il 18,45 % antisemita e xenofobo, il 12% contro musulmani, il 3,28% contro i musulmani, il 1,95 % verso le persone con disabilità. 

La giornalista Asmae Dachan, Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, è stata lei stessa vittima di attacchi di discriminazione multipla per il suo lavoro di giornalista che si occupa di tematiche sensibili. Dachan ha parlato del tema della libertà di stampa e dell'importanza della scelta delle parole per chi intraprende la professione di produttore d'informazione. "Occuparsi di temi che sono considerati sgraditi a una certa parte di lettori a volte suscita rabbia. La categoria dei giornalisti è spesso oggetto quindi di odio ('venduti', 'intoccabili'...), e tutto questo mina profondamente il rapporto di fiducia che dovrebbe esserci invece tra chi fa informazione e i lettori." Giornalisti che per fare informazione", dice Dachan, "rischiano anche la vita, come vediamo in Italia per alcuni di coloro che si occupano di mafia costretti a vivere sotto scorta". Tutto questo ci ricorda le storie esemplari dei Giusti dell'informazione che proprio poche settimane fa abbiamo voluto celebrare al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano dove sono onorati. 

Questi sono solo alcuni degli importanti spunti che sono emersi da questo incontro, il primo di una serie di Webinar di osservazione del fenomeno "odio" organizzati dalla Rete e che toccano da vicino il tema della responsabilità personale nel Web e nella vita di tutti i giorni e dell'educazione a una maggiore consapevolezza della potenza delle parole.

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