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La guerra rischia di peggiorare anche il cambiamento climatico

l’allarme lanciato dal segretario generale dell’Onu

António Guterres è intervenuto qualche giorno fa all'Economist Sustainability Summit, tenuto a Londra dal quotidiano The Economist, sottolineando come le conseguenze del conflitto in corso tra Russia e Ucraina potrebbero toccare profondamente anche la lotta al cambiamento climatico e, conseguentemente, contribuire a mettere a rischio la sopravvivenza di molti ambienti del nostro pianeta e di tutti coloro che li abitano. "Le conseguenze della guerra russa in Ucraina non solo rischiano di distruggere i mercati alimentari ed energetici globali, ma potrebbero anche minare l’agenda climatica globale. Se i Paesi risponderanno all'aggressione della Russia aumentando il proprio uso di combustibili fossili, il conflitto rischia di allontanarci dal raggiungimento degli obiettivi globali sul clima", dice Guterres.

Già qualche giorno dopo l’inizio dell’invasione, anche la meteorologa ucraina Svitlana Krakovska aveva manifestato da Kiev la sua preoccupazione a riguardo, durante la riunione zoom dell'International Governmental Panel on Climate Change (IPCC). "Il denaro che finanzia questa aggressione proviene dai combustibili fossili, esattamente come il cambiamento climatico. Se non dipendessimo da questi ultimi, la Russia non potrebbe finanziare il conflitto”.

Guterres ha continuato spiegando che l'obiettivo di limitare le temperature globali a 1,5°C sopra i livelli preindustriali, fissato al vertice delle Nazioni Unite sul clima Cop26 nel 2021, è in pericolo poiché i Paesi cercano alternative “rapide” alle forniture russe di petrolio e gas. “Le principali economie perseguono una strategia del “va bene tutto” per sostituire i combustibili fossili russi, misure a breve termine potrebbero quindi creare dipendenza a lungo termine dai combustibili fossili e distruggere l’obiettivo 1,5°C. I Paesi potrebbero essere messi così in difficoltà dall'immediato deficit di approvvigionamento di combustibili fossili, da trascurare o mettere in ginocchio le politiche per ridurne l’uso. E questa è una follia”.

Oltre all’espansione delle energie rinnovabili, gli Stati cercherebbero quindi combustibili fossili da altre nazioni, come nel caso del gas del Qatar e del petrolio dell'Arabia Saudita, si legge sul Guardian. Gli Stati Uniti stanno per esempio cercando di espandere le proprie importazioni di petrolio, anche considerando Paesi precedentemente considerati Stati paria, come Venezuela e Iran. Si prevede un aumento anche della produzione interna di petrolio e gas con il metodo fracking. I governi, inoltre, assorbiti dall’affrontare il conflitto e le sue conseguenze economiche, potrebbero avere più difficoltà nel concentrarsi sulla minaccia dell'emergenza climatica.
“Invece di frenare la decarbonizzazione dell'economia globale, ora è il momento di dare il massimo verso un futuro di energia rinnovabile”, ha concluso il segretario generale dell’Onu, per il quale la via da seguire, dopo che la ripresa green post Covid-19 non si è verificata, è quella di costruire coalizioni per aiutare le principali economie emergenti ad allontanarsi rapidamente dai combustibili fossili, attuando una transizione energetica rapida, equa e sostenibile.

Parallelamente a questo quadro preoccupante, si fa strada anche la possibilità che i Paesi reagiscano invece con un atteggiamento più lungimirante, puntando sulle energie green per limitare la dipendenza dalle forniture russe. "Questa guerra fornisce ancora più prove del perché non c'è tempo da perdere nella transizione dai combustibili fossili verso un futuro più pulito”, ha dichiarato David Blood, creatore insieme ad Al Gore del Generation Investment Management. L’auspicio è che la presa di coscienza ulteriore del fatto che gli idrocarburi siano insostenibili dal punto di vista ambientale, ma anche sociale, politico ed economico, spinga il mondo a velocizzare la transizione ecologica di cui da anni si parla.

24 marzo 2022

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