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New York, Shanghai, Mumbai, Tokyo, Londra, Amburgo: vittime dell’innalzamento dei mari

lo studio su Nature che mostra un punto di non ritorno

Ghiaccio marino e iceberg in Antartide

Ghiaccio marino e iceberg in Antartide (Chris Larsen/UAF/NASA.)

Questa estate 2020, oltre ad essere stata quella della pandemia mondiale, è stata anche tristemente nota per un’altra questione che forse ha destato in generale meno preoccupazione ma che fa presagire scenari ben più devastanti: l’università statale dell’Ohio ha annunciato su Nature communications Earth & environment che la fusione dei ghiacci in Groenlandia ha raggiunto il punto di non ritorno. Continueranno a sciogliersi anche se le temperature medie globali resteranno invariate, smettendo di salire per colpa del riscaldamento globale (per altro eventualità che si potrebbe verificare solo nel caso del rispetto degli accordi di Parigi, di un’azione immediate e globale che riduca le emissioni).

Su Nature, guadagnandosi la copertina, il 23 settembre è stato poi pubblicato un altro studio dell’Istituto di ricerca sull'impatto climatico di Potsdam, dell’Università di Potsdam e della Columbia University di New York, sull'isteresi della calotta glaciale antartica, il quale afferma che con un aumento delle temperature medie globali di 4 gradi rispetto ai valori pre-industriali, il livello del mare salirà di circa 7 metri, mettendo a rischio la sopravvivenza di molte città, come New York, Shanghai, Mumbai, Tokyo, Londra e Amburgo. Un processo lento ma inesorabile. 

Più della metà delle risorse di acqua dolce della Terra sono detenute dalla calotta glaciale antartica, che rappresenta quindi di gran lunga la più grande fonte potenziale di innalzamento del livello del mare globale in condizioni di riscaldamento futuro. La sua stabilità a lungo termine determina il destino delle nostre città costiere e del nostro patrimonio culturale, si legge nell’abstract messo a disposizione da nature.com.

Più nel dettaglio, i dati della ricerca dicono che a livelli di riscaldamento globale di circa 2 gradi Celsius sopra i livelli preindustriali, l'Antartide occidentale collassa gradualmente a causa dell'instabilità della calotta glaciale marina. Tra i 6 e i 9 gradi si innescata la perdita di oltre il 70% dell'attuale volume di ghiaccio. A più di 10 gradi di riscaldamento, altro punto di non ritorno, l’Antartide scomparirebbe. La sensibilità alla temperatura della calotta glaciale è di 1,3 metri di livello del mare per grado di riscaldamento fino a 2 gradi sopra i livelli preindustriali, quasi raddoppiando a 2,4 metri per grado di riscaldamento tra 2 e 6 gradi, fino a circa 10 metri per grado di riscaldamento tra 6 e 9 gradi. Ciascuna di queste soglie dà origine a un comportamento di isteresi: cioè, la configurazione della calotta glaciale attualmente osservata non viene recuperata anche se le temperature ritornano ai livelli attuali. La calotta glaciale dell'Antartide occidentale non si riformerà nella sua estensione moderna fino a quando le temperature non saranno inferiori di almeno un grado rispetto ai livelli preindustriali.

"Nell'Antartide occidentale, illustra Torsten Albrecht, uno degli autori, il principale fattore di perdita di ghiaccio è l'acqua calda dell'oceano che porta a uno scioglimento più elevato sotto le piattaforme di ghiaccio in mare, che a sua volta può destabilizzare la calotta di ghiaccio a terra. Ciò fa scivolare in mare ghiacci delle dimensioni della Florida, che affondano lentamente ad altezze più basse dove l'aria è più calda, e finiscono per sciogliersi, come accade in Groenlandia".

In poche parole, dichiarano i ricercatori, ”Ciò che perdiamo ora dell'Antartide, è perduto per sempre”. Se gli accordi di Parigi non verranno rispettati, il contributo dell’Antartide all'innalzamento del livello del mare aumenterà drasticamente e supererà quello di tutti gli altri fattori.

Autori dello studio: Julius Garbe, Torsten Albrecht, Anders Levermann, Jonathan F. Donges, Ricarda Winkelmann

24 settembre 2020

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