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Germania: 25 anni della Giornata della Memoria

di Simone Zoppellaro

Ogni nome conta

Ogni nome conta (Euronews)

I nomi di 10 milioni di vittime dell'Olocausto, fra cui 6 milioni di ebrei, sono registrati negli Archivi Arolsen, custoditi a Bad Arolsen, piccola città dell’Assia, il più grande archivio internazionale di vittime e sopravvissuti dell'Olocausto. Per una settimana, in occasione della Giornata della Memoria, questi nomi sono stati proiettati pubblicamente a Berlino – in un’istallazione visiva e sonora – sugli edifici dell’Ambasciata francese, e condivisi con il mondo tramite un livestream. Un gesto di straordinario valore simbolico: ogni singolo nome conta, l’incommensurabile della più grande tragedia della nostra storia può e deve essere tradotto su un piano individuale, immediato e comprensibile a tutti. Anche a coloro che, ancora oggi, vorrebbero dimenticare o sminuire la memoria dei crimini nazifascisti.

Monika Grütters, commissario del governo tedesco per la cultura e i media, che ha contribuito a promuovere e realizzare il progetto, sintetizza bene il contesto in cui ha luogo questa commemorazione nella Germania di oggi: “Stiamo sperimentando sempre più odio e incitamento all’odio, non solo sui social network e nella sfera digitale, ma anche qui nelle strade. Basti pensare ad attacchi come quelli di Hanau e Halle. Ed è per questo che è particolarmente importante ricordare dove l'odio e l'incitamento alla violenza, dove l'antisemitismo e il risentimento ci abbiano condotto: all'Olocausto”.

25 anni sono trascorsi da quando il presidente tedesco Roman Herzog decise di commemorare per la prima volta la memoria della Shoah al Bundestag, in un evento ripetutosi, ogni 27 di gennaio, fino ad oggi. Una ricorrenza che ha visto, di anno in anno, figure fra le più importanti della cultura ebraica intervenire, non solo per riflettere sui crimini e le atrocità del passato, ma anche sui pericoli del presente e del futuro. “E non posso dirvi chi saranno gli ebrei e chi i tedeschi la prossima volta”, ammoniva lo storico israeliano Yehuda Bauer al Bundestag nel 1998, ricordando anche il Genocidio armeno, insieme a quelli di Ruanda e Cambogia.

Quest’anno, la 25esima Giornata della Memoria delle vittime del nazionalsocialismo ha avuto come protagoniste due donne, Charlotte Knobloch e Marina Weisband. Due testimonianze di generazioni assai diverse, se si pensa che la prima ha 88 anni, mentre la seconda 33. La Knobloch, nata a Monaco di Baviera, presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania fino al 2010, è stata salvata dalla deportazione nel campo di concentramento di Theresienstadt. La Weisband invece è pubblicista e attiva nel partito dei Verdi. A unire le due donne, oltre che all’appartenenza alla comunità ebraica, anche un forte impegno contro l’antisemitismo e il razzismo.

Nei loro discorsi al Bundenstag – alla presenza del presidente Steinmeier e della cancelliera Merkel – trapela, oltre a un commosso ricordo della tragedia del passato, una giusta inquietudine per il presente, innanzitutto nei confronti del ritorno dell’antisemitismo sia sulla scena politica che soprattutto, anche se in componente minoritaria, nella società tedesca. La Weisband che, come ricorda lei stessa nel suo discorso, al pari del 90% degli ebrei tedeschi proviene dall’area post-sovietica, ha raccontato la sua paura nel dover passare misure di sicurezza e guardie armate ogni volta che si reca in sinagoga, mentre la Knobloch ha ribadito il pericolo insito nelle parole di chi sminuisce la Shoah paragonandola – come avvenuto in diverse proteste tedesche in questi mesi – alle misure limitative per il Covid.

Timori condivisi ed espressi anche dal presidente del Bundestag, Wolgang Schäuble, nel suo discorso introduttivo: “È devastante doverlo ammettere: la nostra cultura della memoria non fornisce alcuna protezione dai palesi tentativi di reinterpretare o addirittura di negare la storia. Né protegge da nuove forme di razzismo e antisemitismo, che si diffondono nei cortili delle scuole, nei forum di Internet e nelle teorie del complotto.” Forse il passaggio più intenso, rivolto alla situazione presente, è stato l’appello, durissimo, rivolto dalla Knobloch alla nuova destra dell’AfD, presente con una sua rappresentanza alla commemorazione al Bundestag: “Voi continuerete a lottare per la vostra Germania, noi invece a lottare per la nostra. Lasciate che ve lo dica: avete perso la vostra battaglia 76 anni fa”. Con chiaro riferimento, ben inteso, al Mein Kampf di Hitler, che si traduce appunto come “La mia battaglia”.

In una Germania ancora segnata da un lockdown quasi completo e da una crisi economica, sociale, e fors’anche culturale, dagli esiti imprevedibili, tanti i quesiti e le inquietudini sul futuro che pesano, oggi più che mai, sulla Giornata della Memoria e sulla coscienza di noi tutti. Nessun paese al mondo ha avuto lo stesso coraggio nell’affrontare i crimini del suo passato e nel farne un modello per un impegno concreto sul presente. Eppure, impossibile negarlo: mala tempora currunt. Anche in Germania.

Serve un impegno senza precedenti per contrastare l’antisemitismo, l’odio per il diverso e i tanti, troppi, tentativi cui assistiamo di screditare la memoria della Shoah facendo leva su inquietudini socio-economiche che nulla hanno a che fare con una tragedia in nessun senso paragonabile al nostro presente.

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