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Sconfiggere Auschwitz: l'esempio di Albert Bourla e Liliana Segre

di Gabriele Nissim

Qual è la risposta più radicale al male estremo che ha colpito gli ebrei e tutta l’umanità durante il nazismo?
Immaginare un futuro che abbatta ogni barriera, ogni muro, ogni pregiudizio, ogni divisione tra gli esseri umani, e faccia della condivisione di un destino comune la molla che ci spinge ad affrontare insieme ogni nuova sfida in questo mondo.

Lo ha ricordato in un’intervista al Corriere della Sera Albert Bourla, un piccolo veterinario di Salonicco che nel 1990 cominciò a collaborare con l’azienda Pfizer ed è poi diventato il presidente e l’amministratore delegato della multinazionale che con la sua intuizione ha dato all’umanità la speranza più importante per sconfiggere la pandemia, con un vaccino che rappresenta la risposta tecnologicamente più avanzata alla crisi sanitaria che ha messo in ginocchio il mondo intero.

Bourla, come i miei genitori , è stato uno dei pochi sopravvissuti della comunità ebraica sefardita di Salonicco, annientata quasi nella sua totalità dalla furia nazista. Fino a pochi anni fa non si ricordava nemmeno che gli ebrei abitavano questa città ed erano il motore della vita culturale ed imprenditoriale prima dell’arrivo dei nazisti. Sulle rovine del cimitero ebraico avevano persino costruito la nuova università.
La madre di Bourla si era salvata all’ultimo momento, perché un suo parente era riuscito a corrompere un ufficiale tedesco, pochi minuti prima di finire davanti ad un plotone di esecuzione. La stessa cosa che riuscì a fare mio nonno Egisto Aroesti, che pagò dei barcaioli che sentirono all’ultimo momento la voce del loro cuore e trasportarono nel 1943 mia madre e le sue sorelle in un lungo viaggio avventuroso fino al porto di Cesme sulle coste della Turchia.

Oggi Albert Bourla è orgoglioso di dire al mondo che il vaccino Pfizer è nato dalla sua collaborazione negli Stati Uniti con i coniugi Sahin, la meravigliosa coppia turca musulmana che ha sviluppato la ricerca in Germania e a cui come imprenditore ha fornito tutte le risorse economiche per portare avanti l’impresa, non facendosi condizionare dai governi ed assumendosi tutti i rischi economici, quando c’era il massimo dello scetticismo.
“È un messaggio meraviglioso che un ebreo greco e dei turchi musulmani, entrambi immigrati in Paesi diversi, stiano collaborando e stiano facendo degli sforzi senza nemmeno firmare un contratto, solo per salvare il mondo. Il fatto di essere un immigrato penso sia la caratteristica più importante. Questo ha dato a me e ai miei figli il regalo più bello: essere esposto a diverse culture.”
A Salonicco i nazisti volevano un mondo senza ebrei e cercavano di inculcare ai greci l’idea che i gli ebrei fossero esseri alieni fuori dall’umanità. Bourla è invece orgoglioso di dire, anche a chi oggi vorrebbe divisioni e barriere, come l’impresa umana più grande che si deve immaginare dopo la Shoah è la collaborazione tra tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla fede, dalle religioni e dalle appartenenze. È questa soltanto la vittoria definitiva contro il nazismo.

Nelle stesse ore Liliana Segre, una donna eccezionale in Italia, che ha fatto della memoria della Shoah la ragione della sua vita - non nascondendo mai a nessuno la questione scomoda dell’indifferenza che aveva portato lei bambina e suo padre ad Auschwitz -, ha voluto unire nel nostro Parlamento e nel Paese tutte le persone che si sentono impegnate nella lotta contro ogni forma di odio, sia quello che attraversa i social, sia quello contro gli immigrati, sia quello verso gli ebrei, i musulmani e i cristiani, sia quello in politica contro l’avversario, sia quello che colpisce il vicino della porta accanto.
A novanta anni ha voluto ribadire con forza che per uscire da quella tragedia imperdonabile c’è soltanto una strada. Non solo vigilare, ma costruire un mondo nuovo che metta al bando ogni forma di intolleranza nelle parole, come nei comportamenti. Così non soltanto è andata a votare in Senato per la cittadinanza italiana allo studente Patrick Zaki, che cercano di portare allo sfinimento nelle carceri egiziane, ma si è presa l’onore di dirigere la Commissione contro l’odio.
Il suo messaggio è molto chiaro. Costruire un futuro di speranza dove non esista più una divisione tra un noi e un loro come invece vorrebbero gli odiatori e coloro che amano costruire barriere tra esseri umani.

Se facciamo un tuffo nel passato, ci sono stati due grandi pensatori che si sono mossi con lo stesso spirito e hanno costruito forse per primi un itinerario che andava nella stessa direzione.
Etty Hillesum, la giovane intellettuale ebrea morta ad Auschwitz, scrisse nel suo Diario 1941-1943 che soltanto con la sconfitta di ogni forma di odio che riguardasse tutti, ebrei e non ebrei, poteva esserci la vittoria contro il nazismo.
“L’odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia. È una malattia della propria anima… Questa barbarie va respinta interiormente, non possiamo coltivare quell’odio presente in noi, perché altrimenti il mondo non risalirà dalla melma di un solo passo.”
Non era sufficiente sopravvivere con i propri corpi dai campi di prigionia, scrisse nelle ultime pagine, ma dopo la guerra doveva nascere “un nuovo senso delle cose” e “dovevano irraggiarsi nuovi pensieri e nuove conoscenze che dovevano portare chiarezza oltre i recinti di filo spinato.”

Chi raccolse prima di tutti questa impostazione universale fu l’ebreo polacco Raphael Lemkin, che l'11 dicembre 1946 riuscì a fare approvare alle Nazioni Unite la Risoluzione che chiamava il mondo a unirsi per la prevenzione di tutti i genocidi.
Pochi sanno che nella sede improvvisata dell’Onu, in una fabbrica bellica dismessa a Long Island, quando si doveva decidere se accettare il termine di genocidio come crimine contro l’umanità, il grande alleato di Lemkin fu il giudice egiziano Monim Bey Riad, consigliere personale del re di Arabia Saudita, il quale contro il parere della delegazione inglese sostenne che la parola sterminio da loro proposta era troppo blanda ed era un termine "che sembrava più adatto per i pidocchi e gli insetti, e non per gli esseri umani". Così, allora, un ebreo sopravvissuto ed un arabo musulmano portarono vittoriosamente a termine una battaglia comune per il futuro dell’umanità.

Con una certa tristezza noto che ci sono molti che guardano con preoccupazione il discorso universale sulla memoria degli uomini Giusti in ogni contesto, come se fosse un annacquamento della memoria della Shoah, ma proprio l’esempio di queste donne e uomini, mostrano che il male estremo che si è compiuto ad Auschwitz e di cui ancora ci sono tutte le tracce, si riuscirà a sconfiggere solo in nome di una alleanza internazionale che superi le divisioni.

È forse utopia, ma se veramente vogliamo andare alla radice del problema non c’è altra strada, come hanno capito Etty Hillesum e Raphael Lemkin: anche se apparentemente sembra la più difficile, è la più stimolante e produttiva per il futuro dell’umanità.
Il mondo va unito, anche sulla ricerca dei Giusti contro ogni male estremo.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

16 aprile 2021

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