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Her Game Too, l'associazione delle tifose contro il sessismo nel calcio

di Francesco Caremani

«Il calcio è per tutti» è uno slogan immaginifico. Soprattutto in un movimento che vede allargarsi sempre di più la forbice tra base ed élite. Un po’ ipocrita, in modo particolare quando ci chiediamo, se ce lo chiediamo, cosa significhi quel tutti, chi è compreso e chi non lo è. Se lo sono chiesto dodici donne tifose di squadre inglesi affrontando il tema del sessismo nel football e confrontando le proprie esperienze, un confronto che ha portato alla nascita di Her Game Too, con relativo hashtag, un’associazione no profit che attualmente vanta oltre diciannovemila follower su Twitter; ma andiamo con ordine.

Tutto è iniziato quando Caz May, tifosa del Bristol City ha contatto la ‘collega’ Lucy Ford: «Era qualcosa che andava fatto e le reazioni che abbiamo ottenuto sono andate oltre ogni più rosea aspettativa», ha confermato quest’ultima.

Così dodici donne tifose di squadre diverse hanno lanciato la campagna «pass the paper» (passa la carta) mostrando ciascuna un cartoncino con su scritto uno dei tanti luoghi comuni che accosta la presenza femminile al calcio: da «È un gioco da uomini» a «Torna in cucina», slogan che dicono molto sulla fantasia maschile. Il video, ben costruito, di sessanta secondi ha ottenuto più di un milione di visualizzazioni in ventiquattro ore, diventando virale e impossibile da snobbare. Ovviamente ci sono stati anche commenti sessisti, ma oltre il novanta per cento era di appoggio e condivisione, dove madri, mogli e figlie si sono riconosciute in questa battaglia.

Her Game Too, infatti, sta cercando di pubblicizzare la propria campagna sensibilizzando i club a prendere coscienza del problema e a fare dello stadio un posto sicuro non solo per i tifosi ma anche per le tifose, visto che per queste sicuro non è. A dirlo un sondaggio che ha coinvolto quattrocento donne inglesi, scoprendo che nove su dieci hanno subito il sessismo allo stadio, al pub oppure in Rete: dal linguaggio offensivo alle intimidazioni fisiche durante le partite, a una minaccia di stupro.

Queste donne stanno dando voce a un problema, perché il calcio si sta rivelando, sia come movimento che come ambiente, uno dei ‘luoghi’ più sessisti del nostro vivere e sempre più pericoloso per le donne che lo frequentano, siano esse tifose, dirigenti o calciatrici. Un fenomeno che viene da molto lontano ma che adesso, grazie a una presa di coscienza generale e generazionale, non può essere più sottaciuto. La lista degli episodi è lunga e fa paura: dai commenti fuori luogo dei colleghi maschi al linguaggio volgare, dalle minacce alle attenzioni indesiderate, dalla preoccupazione a vedere dal vivo una partita ai titoli inappropriati sulle giocatrici. Senza contare che a livello di management molti club assumono uomini con storie violente alle spalle o atteggiamenti sessisti, arrivando addirittura a nascondere le accuse di abusi sessuali quando è coinvolto un calciatore famoso. Per terminare con il divario retributivo di genere (o se preferite, il gender pay gap) che esiste tra calcio maschile e quello femminile. Purtroppo denaro e potere sono un miscuglio tossico che convincono molti di essere inattaccabili e di poterla fare sempre franca. Ma abbiamo una serie di problemi, il più semplice è che questo modo di fare si trasmette e fa credere all’uomo medio che questi comportamenti siano socialmente accettabili o comunque senza conseguenze; quando chi è in cima dovrebbe sempre dare l’esempio, anche se molti pensano il contrario.

Banalmente è venuto il momento di dire basta ed è quello che hanno fatto le nostre dodici tifose. Una battaglia importante non solo per loro che si sono esposte ma pure per chi non ha mai avuto il coraggio di farlo, per chi è stata presa di mira sui social e non ha avuto la forza di reagire. Intanto alcuni club, non di prima fascia, hanno risposto alle sollecitazioni. Il Torquay United ha distribuito mille biglietti a donne e ragazze del posto, mentre il Forest Green Rovers, società che da sempre fa dei diritti il proprio vessillo, ha messo il logo di Her Game Too sulle proprie divise. L’Exeter City si è spinto più in là facendo giocare i propri tifosi e le proprie tifose al St James Park con le magliette di Her Game Too, poi autografate e messe all’asta in aiuto delle squadre dilettanti: «Ci è sembrata la cosa giusta da fare – ha spiegato Craig Bratt, responsabile media del club –, come prevenzione. Spesso le cose brutte dette alle tifose vengono spacciate per battute, ma non lo sono. Vogliamo che si sentano al sicuro quando vengono a vedere la partita e che possano reagire invece di lasciar perdere di fronte a episodi di sessismo».

Da un altro sondaggio, Women at the Match, della Football Supporters’ Association, su 2.164 tifose una su cinque ha subito attenzioni fisiche durante le partite di calcio maschile. Le dodici tifose di Her Game Too si finanziano grazie al merchandising e continuano la loro campagna di sensibilizzazione nelle scuole e nel tifo organizzato di tutto il Paese: «Non vogliamo prenderci il calcio – ha sottolineato Lucy Ford – ma vogliamo che tutti e tutte ne possano godere». Che il calcio abbia un problema col sessismo non lo scopriamo oggi. Purtroppo ne ha tanti altri, uno gravissimo con la cultura dello stupro che due colleghi hanno trattato in maniera approfondita: Pippo Russo con il libro Calcio e cultura dello stupro; Valerio Moggia con un articolo quasi omonimo su Valigia Blu. Al solito qualcuno potrebbe obiettare perché trattare questo argomento, perché ora. Semplice, perché ci sono momenti nella storia di tutti noi che segnano un punto di rottura col passato. Come hanno scritto nel blog di hergametoo.co.uk: «Il tempo per rimanere ignoranti e a proprio agio con le attuali norme sociali è finito». Adesso è il tempo di Her Game Too.

Francesco Caremani, giornalista

17 febbraio 2022