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L'atleta punita per aver alzato il pugno contro le ingiustize razziali

L'incredibile storia della martellista statunitense Gwen Berry

In un momento storico in cui la protesta in ginocchio è diventata una tendenza mondiale e nelle arene di tutto il mondo atleti di qualsiasi disciplina e provenienza sociale hanno manifestato contro le ingiustizie razziali c’è un posto, scrive il New York Times in cui tutto questo è proibito: il podio olimpico.

Il quotidiano statunitense ha permesso all’atleta olimpionica Gwen Berry, detentrice del titolo panamericano di lancio del martello e del record mondiale del lancio del martello con maniglia corta - 25,6 metri -, di raccontare attraverso un video la sua incredibile storia. Il video termina con una critica diretta a Thomas Bach, presidente del Comitato Olimpico Internazionale, su quella che ritiene essere l'ipocrisia della sua organizzazione.

La polemica nasce proprio sul podio dei Giochi panamericani del 2019. Durante la premiazione Berry ha alzato il pugno. Un gesto che non è passato inosservato: prima è stata richiamata ufficialmente dal Comitato olimpico degli Stati Uniti, con conseguente sospensione per dodici mesi dall’attività agonistica, e ora non riesce a trovare uno sponsor. Ironia della sorte, tra un mese saranno passati ben 52 anni da quando accadde lo stesso ai suoi compatrioti Tommie Smith e John Carlos nel corso dei Giochi olimpici di Città del Messico, nella protesta sportiva che più di ogni altra rimarrà nella storia. 

In un momento di forte sensibilità internazionale e in un contesto in cui da sempre gli atleti vengono celebrati per coraggio, determinazione e tenacia, gli stessi vengono puniti se chiedono giustizia razziale. Un’incongruenza che fa sì che al momento Berry non abbia alcun sostegno economico per continuare la sua carriera sportiva, pur essendo una delle migliori al mondo nella sua disciplina.

Berry, scrive il New York Times “è una donna nera senza una rete di sicurezza, che sfida un'organizzazione globale che nel 2018 ha portato profitti per 165 milioni di dollari”. Quanti atleti come lei si trovano ad affrontare lo stesso dilemma: tenere la bocca chiusa o mettere a repentaglio la loro carriera per combattere per giustizia?

Una domanda non da poco conto, che diventa ancora più dirompente quando si conosce il background di Gwen Berry e le sue lotte per ottenere i risultati che ha raggiunto.

Gwen, 31 anni, è stata cresciuta da sua nonna in una famiglia di 13 membri a Ferguson, Missouri, la cittadina diventata famosa nel 2014 dopo l’omicidio del 18enne afroamericano Micheal Brown da parte di un agente della polizia locale.

Dopo aver avuto un figlio all'età di 15 anni, Gwen ha ottenuta una borsa di studio per il college ed è diventata una delle migliori lanciatrici del martello a livello mondiale. Nel frattempo, per dare da mangiare alla sua famiglia doveva svolgere due lavori: commessa in un negozio sportivo di giorno e fattorina di notte, quando consegnava biscotti per l’insonnia ai suoi concittadini ancora svegli. Nel frattempo, nei tempi morti, si allenava per le Olimpiadi.

Adesso la palla – in questo caso il martello – passa al Comitato olimpico: abrogherà la vetusta regola (l’articolo 50 della Carta olimpica) che vieta agli atleti di protestare su questioni politiche, religiose o razziali durante le competizioni olimpiche?

“Sono una delle migliori lanciatrici di giavellotto di tutti i tempi e sono orgogliosa di essere membro della squadra olimpica degli Stati Uniti. Thomas Bach (capo del CIO), so che vuoi che i Giochi olimpici rimangano un luogo in cui regni l'armonia e in cui l'attenzione sia focalizzata esclusivamente sullo sport”, ha spiegato nel video-appello Berry. “Ma se vuoi che gli atleti si battano per l’eccellenza, è ora che tu faccia lo stesso. Dovresti eliminare l'articolo 50 e suggerire qualcosa di diverso ".

Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

8 settembre 2020

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