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Borderlife

di Dorit Rabinyan Longanesi, 2016

Libro censurato da Nethanyahu, che lo ha escluso dall’elenco delle letture per gli studenti liceali, è stato supportato da scrittori del calibro di Oz e Yehoshua, tanto da diventare un best seller. Il commento di Amos Oz, riportato in copertina, “Una magnifica storia d’amore che la tragedia di due popoli non riesce a sopraffare” carica il libro di grandi aspettative, che purtroppo vengono disattese nel corso della lettura. Scritto in modo un po’ schizofrenico, con salti temporali ed episodi bruscamente interrotti o lasciati in sospeso, il romanzo risulta povero di contenuti, ma ricco di stereotipi.

La vicenda è collocata nel 2002/3, la protagonista è un’israeliana ventinovenne di origini iraniane, che narra la storia in prima persona; tutti elementi che fanno presupporre si tratti di un racconto autobiografico, benché fin dalle prime pagine si speri non sia così, perché la protagonista, oltre che molto immatura, appare piuttosto antipatica e ipocrita.

Non è nemmeno una storia d’amore, in quanto lei non è realmente innamorata del ragazzo, ma piuttosto dell’idea di stare insieme a un palestinese, fare qualcosa di proibito, fuori dagli schemi. Ha lo stesso spirito di chi fa beneficenza non per convinzione, ma per opportunismo, come un medico che va con Emergency non per aiutare i feriti di guerra, ma solo per potersi vantare di esserci stato.

Non ci sono neppure digressioni politiche, culturali o sociologiche, che approfondiscano aspetti del conflitto tra i due popoli: l’unico accenno è al fatto che lei crede nella creazione di due stati, mentre lui caldeggia un unico stato binazionale.

In sostanza, un libro mediocre, che però, paradossalmente, non è affatto inutile, in quanto scatena parecchie riflessioni. Innanzitutto, viene da chiedersi perché sia stato vietato ai liceali: non per scarso valore letterario, naturalmente, ma per evitare che i ragazzi israeliani possano pensare che relazionarsi alla pari con i palestinesi sia possibile e fattibile. Qui sta l’orrore della censura, da parte di un governo che ha sempre maggiori ingerenze nella scuola e che sta diventando sempre più estremo nel proprio nazionalismo, tanto da dover temere perfino un anodino romanzo rosa, solo perché una israeliana e un palestinese, a New York, hanno provato una reciproca attrazione. Attrazione che di fatto non ha un seguito, in quanto la storia non decolla, ma una simile relazione evidentemente per l’estrema destra israeliana è aberrante: e questo deve far riflettere.

E perché Amos Oz parla così bene di un’opera letteraria del genere? Forse proprio per reazione al boicottaggio. Censurare un libro per l’argomento trattato è un atto dittatoriale, specie se la censura è diretta verso gli adolescenti, in un momento delicato della loro vita, in cui cominciano a sviluppare le proprie idee e il proprio modo di essere; è un chiaro segnale di una prassi di indottrinamento che punta ad abolire qualsiasi confronto e apertura all’altro; a questo punto, supportare il medesimo libro presentandolo come un capolavoro e farlo così diventare un best seller è la giusta contromisura, una reazione fisica uguale e contraria; una giusta ribellione contro uno Stato che pretende di plasmare le giovani menti all’odio e alla chiusura.

Borderlife quindi diventa il simbolo non tanto del conflitto israelo-palestinese, ma del conflitto interno a Israele, Paese che dall’inizio del millennio da un lato ha eretto un muro di separazione, sta assistendo alla crescita di una destra al potere sempre più estremista e guerrafondaia, e alla crescita vertiginosa dell’ingerenza sionista e religiosa all’interno del proprio esercito; dall’altro realizza progetti e attività di collaborazione israelo-palestinese decisamente encomiabili, quali Moshe Dayan Center, Parents Circle, Saving Children e moltissimi altri. In questo Paese spaccato in due, Borderlife diventa quindi un simbolo della ribellione all’odio dilagante, l’affermazione della libertà di amare chi si vuole, superando conflitti e barriere mentali e materiali.

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